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Questo articolo è stato pubblicato il 23 febbraio 2011 alle ore 12:39.
I quattro americani morti dopo cinque giorni in mano ai pirati nell'Oceano Indiano sono rimasti uccisi in un blitz delle forze speciali Usa: è la versione del capo pirata Ali, del comando di Garacad, in Somalia. Ali smentisce la ricostruzione dei militari americani che martedì avevano detto di aver trovato gli ostaggi in un lago di sangue, già finiti dai loro carcerieri. «Secondo le nostre informazioni gli ostaggi americani sono stati uccisi dopo che la Marina militare americana ha attaccato lo yacht», ha affermato Ali. «Hanno provato a salvarli ma vi è stato uno scontro a fuoco in cui i quattro sono morti».
Una versione dunque ben diversa dal resoconto della Us Navy, che attraverso quattro navi da guerra, tra cui l'incrociatore Sterett, monitorava a stretto giro l'imbarcazione su cui si trovavano gli ostaggi, il Quest.
Il Quest, uno yacht di 18 metri che da sei anni faceva anche da abitazione per gli Adam, era stato sequestrato venerdì scorso a 240 miglia nautiche dalla costa dell'Oman. Successivamente i pirati si erano diretti con i loro ostaggi verso la Somalia. Proprio nelle acque somale si trova ancora la petroliera italiana Savina Caylyn, con a bordo 22 marinai tra cui cinque italiani, assaltata dai pirati all'alba dell'8 febbraio. Sulla vicenda il governo ha imposto il silenzio stampa mentre la fregata italiana Zeffiro, dopo un lungo inseguimento insieme al pattugliatore Fulgosi, si è posizionata a ridosso dell'imbarcazione. Tuttavia, l'arrivo della Savina Caylyn nella base dei pirati, nei pressi della «tortuga» di Harardhere, rende molto rischiosa l'ipotesi di un blitz di salvataggio.