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Questo articolo è stato pubblicato il 24 febbraio 2011 alle ore 15:18.

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Nella casa regnante saudita serpeggia la preoccupazione. E nei palazzi del potere si osservano con attenzione le proteste al di là del confine meridionale con lo Yemen e soprattutto quello che sta succedendo in Bahrain, un paese il cui governo è stretto alleato di Riad ed è collocato a poco più di venti chilometri dalla costa saudita.

Il più grande paese della penisola riceverebbe ripercussioni gravi se il re del Bahrain, Hamad bin Isa al-Khalifa dovesse essere rovesciato. Inoltre si temono sollevazioni della minoranza sciita che abita le regioni orientali dell'Arabia Saudita, in cui si trovano la maggior parte dei pozzi petroliferi. Senza contare che quelle stesse regioni orientali sono proprio dirimpettaie del Bahrain, paese in cui i protagonisti della rivolta popolare sono proprio i cittadini sciiti (lì, però, sono la maggioranza) che protestano contro un re sunnita.

Sul futuro prossimo saudita pesano anche i problemi interni alla famiglia regnante dovuti al fatto che il re Abdullah bin Abdul-Aziz e i suoi fratelli sono molto anziani. Il 23 febbraio il re annuncia un pacchetto di sussidi economici per i suoi sudditi superiore a 35 miliardi di dollari. Mentre si moltiplicano timidi desideri di riforme politiche (monarchia costituzionale), di più posti di lavoro e di migliori condizioni economiche, il 4 marzo le autorità ribadiscono che sono proibite le manifestazioni di protesta e importanti esponenti religiosi suffragano il divieto, affermando che gli appelli alla protesta non sono conformi alla dottrina islamica. Nonostante questo nelle prime settimane di marzo ci sono alcune piccole dimostrazioni e proteste contro l'intervento dei militari sauditi in Bahrain, da cui sono scaturite tra la fine di marzo e l'inizio di aprile frizioni diplomatiche con Teheran.

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