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Questo articolo è stato pubblicato il 25 febbraio 2011 alle ore 08:00.
Se, forte della piena sintonia con il resto dei colleghi mediterranei riscontrata mercoledì a Roma, davvero sperava di sensibilizzare tutta l'Europa «sul rischio di un'emergenza migratoria di proporzioni inimmaginabili», il ministro Roberto Maroni ieri è stato ampiamente deluso dall'esito della riunione di Bruxelles. Anche se, diplomaticamente, ha preferito parlare di «bilancio in chiaro-scuro».
Due le richieste avanzate dai ministri degli Interni del gruppo dei Sei, cioè Italia, Francia, Spagna, Grecia, Malta e Cipro: un fondo di solidarietà finanziaria e, soprattutto, una politica di asilo europea con l'impegno al "burden sharing", cioè a spartire parte dei rifugiati in caso di flussi eccezionali su Lampedusa e dintorni. Due o trecentomila, per intendersi, la cifra paventata.
Se sugli aiuti, al momento opportuno, probabilmente non ci saranno troppi problemi, sulla riallocazione delle persone a livello Ue il rifiuto si conferma completo. «C'è chiusura da parte di alcuni ministri», ha constatato Maroni. Che non ha voluto fare nomi. Ma poi i propri nomi hanno provveduto i diretti interessati a farli circolare. «Non c'è nessun flusso di rifugiati in questo momento. Per favore cerchiamo di non provocarlo continuando a parlarne», ha tagliato corto il tedesco Thomas de Maziere, in perfetta sintonia con il collega austriaco. Il belga Melchior Wathelet ha parlato di «timori alimentati da cifre demenziali ma non è il caso di giocare a spaventarci tra noi». Dulcis in fundo, lo svedese Tobias Billstrom ha tenuto a ricordare che il suo paese, 9 milioni di abitanti, nel 2010 ha «concesso asilo a 32.000 persone senza colpo ferire mentre l'Italia con 60 milioni di cittadini chiede aiuto dopo che sulle sue coste sono arrivati solo 5.000 tunisini».
Simili, in conferenza stampa finale, i commenti della svedese Cecilia Malstrom, commissario europeo agli Interni: «Per ora non abbiamo visto nessuno arrivare dalla Libia. Anzi abbiamo constatato una diminuzione degli arrivi dalla Tunisia». Speriamo bene.
L'Europa minimizza ma Maroni avverte che «i controlli sulle coste libiche sono ormai azzerati, non appena si calmerà la situazione le partenze riprenderanno, le organizzazioni criminali si stanno riorganizzando». E come già avvenuto con gli 5.000 tunisini sbarcati, il rischio, ha sottolineato, è anche quello di infiltrazioni terroristiche e criminali tra gli immigrati. «Ho detto ai colleghi che dobbiamo evitare che la Libia diventi il nuovo Afghanistan».