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Questo articolo è stato pubblicato il 24 febbraio 2011 alle ore 15:16.

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In Sudan, che, in conseguenza di un referendum, vedrà a luglio la nascita di un nuovo Stato indipendente nella sua zona meridionale e vive un clima di tensioni in cui si innesta la crisi non risolta della regione del Darfur, ci sono sporadiche e circoscritte proteste popolari tra la fine di gennaio e l'inizio di febbraio. I manifestanti chiedono riforme politiche ed economiche. La risposta delle forze di sicurezza è decisa (lacrimogeni, percosse, idranti).

Il 21 febbraio arriva una notizia inaspettata: il presidente Omar al-Bashir afferma con enorme anticipo di non volersi ricandidare nelle elezioni del 2015, per "accrescere la democrazia". Secondo tutti gli analisti, l'annuncio di al-Bashir ha l'obiettivo di diluire le possibilità che il contagio contestatario travolga anche il suo paese (e il suo "trono"). Il 21 marzo un intervento preventivo delle forze di sicurezza impedisce sul nascere il dispiegarsi di una protesta a Khartoum. Il 4 aprile alcune centinaia di persone si radunano per manifestare i propri sentimenti sntigovernativi davanti all'Università della capitale.

Lo stesso giorno un gruppetto di disoccupati dà vita a una piccola dimostrazione a El Fula, nella parte meridionale del paese. La polizia interviene con fermezza e le proteste non diventano un fenomeno di massa. In un'intervista alla Reuters del 17 maggio, Hassan al Turabi, uno dei leader dell'opposizione, dice che l'indipendenza del Sud Sudan, che sarà effettiva a partire dal 9 luglio, potrebbe provocare gravi difficoltà economiche al Nord. E che soprattutto il probabile aumento dell'inflazione potrebbe fornire combustibile al vigoroso rinnovarsi di nuove proteste popolari contro il governo di al-Bashir

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