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Questo articolo è stato pubblicato il 24 febbraio 2011 alle ore 12:24.
Ali Abdullah Saleh, di origini umili e di corti studi, si è costruito pazientemente una carriera militare. Finché, nel 1978, è diventato presidente dello Yemen del Nord, dopo che i suoi due predecessori erano morti assassinati. Quando nel 1990 il suo paese, uno dei più poveri del mondo arabo, si riunificò con lo Yemen del Sud, lui rimase al potere. Nel corso degli anni Saleh ha accettato alcuni sprazzi di democratizzazione, ma non fino al punto che queste prudentissime aperture potessero compromettere la sua permanenza alla presidenza per trentatré anni, quasi un record in Medio Oriente. Intanto, dopo essere stato un fan del dittatore iracheno Saddam Hussein e un sostenitore dichiarato dell'invasione del Kuwait, in seguito Saleh ha cercato di accreditarsi come alleato, per la verità non affidabilissimo, dell'Occidente nella lotta al terrorismo internazionale di matrice islamista. Dopo un terzo di secolo, ora la sua poltrona presidenziale è a rischio sotto la pressione delle proteste di piazza che si susseguono in queste settimana nella capitale Sana'a e in altre aree del paese. Saleh rifiuta le dimissioni e si è limitato a promettere che non si ricandiderà alle prossime presidenziali del 2013. Ma la tensione in Yemen resta molto alta e continuano a esserci vittime mortali nei disordini di piazza.
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