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Gerry Adams dall'Ira alle urne di Dublino

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Questo articolo è stato pubblicato il 25 febbraio 2011 alle ore 09:23.

DUBLINO - «Un grande leader»: lo sguardo di Patrick, studente diciottenne, punta all'insù. Poi volge la testa, strizza l'occhio, dà un colpo al pedale della bicicletta e se ne va lungo O'Connell street, lasciando dietro di sé il profumo del dubbio. Il riferimento era alla barba pepe sale di Gerry Adams o alle gigantesche mani di James "Big Jim" Larkin? A un uomo in carne ed ossa o a una statua? Ovvero al leader del Sinn Fein o al mito del sindacalismo irlandese negli anni dell'indipendenza?

Non è un caso che uno abbia scelto l'altro, che Gerry Adams abbia deciso di parlare pubblicamente per l'ultima volta prima dell'apertura delle urne, sotto le braccia protese di Big Jim. La simbologia pesa in Irlanda. Pesa soprattutto a nord, nelle contee dell'Ulster, dove l'epopea della mistica repubblicana e antibritannica è fiorita in decenni di contrapposizione militare. Dublino non ne è mai stata del tutto impermeabile, non poteva esserlo, ma ha sempre cercato di proteggersi dal veleno che uccide il settentrione.

D'improvviso, però, l'icona dei troubles nordirlandesi ha varcato il fragile confine e per l'ultima apparizione in piazza prima del voto s'è mostrata in giacca blu, maglione viola, cravatta rossa e accento arrotato. Quello di Falls road, cuore del cattolicesimo repubblicano più radicale, a West Belfast. Gerry Adams è il nord che si aggira al sud, cercando l'elezione nella Repubblica dopo quella per Westminster, guadagnata nelle urne ma mai accettata per evitare il giuramento nelle mani della regina. Vuole vincere il seggio del Sinn Fein nel collegio di Louth, vuole guidare il suo partito a raddoppiare, o triplicare, i deputati al parlamento di Dublino (ne ha 5). Alcuni sondaggi dicono che potrebbe farcela, altri no. Tutti però concordano nel dare al Sinn Fein un maggiore sostegno popolare che in passato. Lo storico Tim Pat Cogan è stato netto nell'indicare il significato della discesa di Adams nel campo meridionale dell'isola. «Dimostra che un ragazzo di Falls road può fiondarsi nel nostro Parlamento. Nessun politico di Dublino potrebbe fare lo stesso a Belfast».

Gerry Adams, 62 anni, presidente del Sinn Fein, non è un ragazzo qualsiasi di Falls Road. Non lo è per l'anagrafe, non lo è per ciò che rappresenta. Ha scelto la statua di Big Jim perché si considera egli stesso un leader. Lo è stato, per anni, dell'Ira, secondo quanto ha scritto Brendan Hughes, uno degli ultimi comandanti dell'Irish repubblican army a Belfast. «Non ho mai eseguito un'operazione importante - ha ribadito poco prima di morire - senza l'ok di Gerry Adams». Talvolta, Adams le avrebbe organizzate anche da solo. Lo sostiene ancora una volta Hughes narrando un episodio che pianta le croci del nord nel cuore del sud. Un contrappasso che si consuma proprio in queste ore, a Louth, dove Adams cerca di vincere il seggio. Sulle spiagge di quella contea, a Templetown, nel 2003 furono trovati i resti Jean McConville, madre di dieci figli, accusata di aver tradito l'Ira e per questo sequestrata e uccisa, nel 1972, da un commando di provos. Per Hughes fu proprio Adams a organizzare quell'omicidio e tanto è bastato per colorare di nero la tenzone elettorale. I parenti di Jean Mc Conville hanno lanciato una contro-campagna avvertendo gli elettori che votare per l'uomo dell'Ulster significa insultare il cadavere di una madre innocente. Peggio, significa giustificare la violenza dei provos, abbracciare il radicalismo cattolico e repubblicano.

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Tags Correlati: Brendan Hughes | Dublino | Elezioni | Fianna Fail | Fmi | Gerry Adams | Irish repubblican army | Irish Republican Army | Jean Mc Conville | Louth | Martin Mc Guinness | Pat Cogan | Sinn Fein | Ulster

 

Gerry Adams nega tutto. Dall'omicidio, alla militanza nell'Ira, esercito clandestino che non ha mai nettamente condannato essendo da decenni alla guida del partito, il Sinn Fein appunto, che è indicato come «il braccio politico» dell'Irish repubblican army. Butta sul tavolo la sua storia di sopravvissuto, dalle violenze in famiglia, alle mitragliate dei protestanti. Rivendica l'abilità di aver pilotato il Sinn Fein alla cogestione dell'Ulster di cui il suo partner, ed ex comandante della brigata di Derry dell'Ira, Martin Mc Guinness, è vice-premier. Ostenta il gigionismo di un ingrigito sovversivo. «È importante - va dicendo - essere un po' sovversivi».
A sovvertire i destini del sud ci sta provando. È sceso nella disfida elettorale sfruttando il malcontento popolare per il disastro politico ed economico lasciato dal Fianna Fail. Adotta parole d'ordine populiste, usa l'inchiostro della demagogia e confonde, dicono i suoi detrattori, i pound con l'euro. Ma tant'è, il mantra è uno solo: il piano internazionale di salvataggio per l'Irlanda va cestinato. Promette di buttarlo a mare, in vista di un ripensamento globale della trattativa con Ue e Fmi. Scuote l'altra metà (tre quarti, a dire il vero) dell'isola da cui proviene per cullare - narrano gli oppositori - il sogno di un'unificazione anomala con l'Ulster. Se lui s'accomoderà al Dail, con un seguito forte e voti che pesano, potrà dialogare con Martin Mc Guinness, destinato, alle elezioni di maggio, a consolidare il suo seguito a Belfast. Vittoria degli "amici" dell'Ira a sud e a nord del confine? Qualcosa di molto simile, per celebrare, se lo scenario reggerà, il 2016, centesimo anniversario della Rivolta di Pasqua, atto di nascita dell'indipendenza di Dublino. I simboli pesano, in Irlanda. Big Jim ne sa qualcosa e il giovane Patrick, probabilmente, proprio a lui si riferiva.

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