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La prima guerra globale e l'Europa

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Questo articolo è stato pubblicato il 25 febbraio 2011 alle ore 08:43.
L'ultima modifica è del 25 febbraio 2011 alle ore 06:44.

Molti paragonano ciò che sta avvenendo sulla sponda sud del Mediterraneo alla caduta del Muro di Berlino nel 1989: questo paragone è accettabile fino a un certo punto, perché dopo il crollo del muro l'Unione europea, allora in itinere, avrebbe accettato il progressivo ingresso di questi paesi. In effetti oggi i membri sono 27 e stati dell'ex cortina di ferro come Bulgaria, Ungheria o Estonia sono parte integrante dell'Europa.

È evidente che questo processo ha permesso di ammortizzare quell'enorme cambiamento storico: perché anche in quegli anni nessuno se l'aspettava, ed è bastato che la folla distruggesse il muro per cambiare la direzione della storia, mentre solo un anno prima le cancellerie occidentali temevano l'arrivo a Vienna dei carri armati sovietici.
Il contesto arabo è molto più complesso: perché all'effetto sorpresa - sono bastati 18 giorni per far crollare il regime di Mubarak - si aggiunge la totale incertezza su come le cose si evolveranno. Le uniche certezze che abbiamo sono la decomposizione delle vecchie strutture statali dei regimi e la fuoriuscita degli immigrati.

Siamo, come scriveva Alexis de Tocqueville nel suo celebre saggio L'ancien régime et la révolution, non più nel prima ma non ancora nel dopo; siamo nel mezzo di un passaggio tra due momenti della storia che riempie le pagine dei nostri giornali di ipotesi, inquietudini e paure.
Tutto questo ha un'origine: ciò che vediamo svolgersi dinanzi a noi è frutto del fallimento totale del processo di Barcellona che avrebbe dovuto creare un nuovo spazio euromediterraneo: tante promesse, ma pochissime realizzazioni concrete. Sono soprattutto l'impostazione e la strategia della politica europea ad aver prodotto un reale disastro, sia in termini economici - perché l'entità dei problemi del Mediterraneo probabilmente necessitava di una sorta di piano Marshall - sia nel metodo: l'iperburocratizzazione del progetto euromediterraneo ne ha fortemente indebolito la capacità di incidere sui processi di trasformazione di quelle società.

C'è un tassello mancante all'origine dei disastri che vivremo nei prossimi anni: è l'assenza di una visione politica della sponda sud del Mediterraneo, e della consapevolezza che una relazione fra le due sponde avrebbe potuto creare un inedito spirito costruttivo per uno spazio euromediterraneo. Sembra che tutto sia stato pensato come se la sponda sud dovesse limitarsi a svolgere il ruolo di cintura di sicurezza per frenare islamismo e immigrazione. Non aver pensato a una reale costruzione politica ha fatto sì che quelle società si siano sentite abbandonate dal nord, e non capite né dai loro regimi né dall'Europa.

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Tags Correlati: Alexis de Tocqueville | Congiuntura | Europa | Mediterraneo | Oliver Roy | Stati Membri

 

È mancata una grammatica euromediterranea che avrebbe potuto creare un nuovo organismo internazionale in grado di progettare e definire ciò di cui queste società hanno bisogno nell'odierna inevitabile transizione. Ciò che sta accadendo trova l'Europa del tutto impreparata. E, al contrario di quanto è accaduto nei confronti dei paesi ex comunisti dell'Est, qui c'è solo il vuoto e l'emergenza; ma nell'emergenza è contenuto l'enorme rischio di non poter controllare fenomeni di dimensione epocale.
È proprio nel vuoto della storia che si insediano i pericoli: pericoli di tutti i tipi, che divengono tensioni e poi conflitti. E in questa cacofonia si sente affermare di tutto: fare la guerra agli immigrati, attuare il respingimento eccetera. Mentre il compito della politica, proprio in questo momento, sarebbe quello di anticipare il rischio di eventi catastrofici e dare a questi popoli la speranza di costruire nuove società democratiche e uno sviluppo economico e sociale.

Quel che più preoccupa è che in seno all'Europa tutte le politiche migratorie sono state nazionali e non comunitarie: non c'è mai stata una politica migratoria europea. Ogni Stato interviene inoltre in funzione delle condizioni del momento, con politiche congiunturali anziché strutturali; e ciò di fronte a un quadro demografico europeo che è dei più preoccupanti, a una popolazione che invecchia ma che non ha la consapevolezza di questo dato. L'impatto dell'invecchiamento è ignorato praticamente da tutti, a parte i demografi e gli statistici. Questo fa dire agli esperti che, qualunque sia il livello di immigrazione, il deficit pensionistico è ineluttabile se l'età alla quale la gente non lavora più rimane quella di 65 anni; nel 2050 ci saranno due persone in età lavorativa per ogni pensionato, mentre oggi il rapporto è di quattro a uno.

Il partenariato economico, politico e socioculturale che lega le due sponde del Mediterraneo è oggi in piena crisi, e il crollo dei regimi ne accelererà il processo; se un tale partenariato non unifica la dinamica europea, il Mediterraneo tende a divenire una regione periferica dell'Europa e una frontiera identitaria e culturale. Ma ecco di nuovo la contraddizione: nel momento in cui gli europei si barricano dietro queste frontiere, le società del sud del Mediterraneo non sono mai state così vicine all'Europa attraverso i media, internet. E anche se, contrariamente a Oliver Roy, non penso che ci troviamo già nel post-islamismo, e ritengo che il pericolo di un cortocircuito da parte dei movimenti fondamentalisti o radicali sia forte, nondimeno queste manifestazioni di massa hanno presentato un nuovo volto: la richiesta di democrazia.
Il rischio vero, allora, è che anche l'Europa sprofondi nel Mediterraneo, perché non esistono più centri né periferie: la globalizzazione è anche questo.

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