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Un venerdì di lotta e di preghiera

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Questo articolo è stato pubblicato il 26 febbraio 2011 alle ore 08:11.


Il venerdì non si lavora, si prega in moschea e - da un mese a questa parte - si scende in piazza. Centinaia di migliaia, in diversi paesi arabi. Per esprimere solidarietà nei confronti dei libici e protestare ad alta voce. Esasperati dalle vane promesse dei loro leader, chiedono partecipazione politica, libertà di espressione e trasparenza.

1. IN 6MILA AD AMMAN
Ieri ad Amman, oltre 6mila giordani hanno protestato sotto lo sguardo attento di 3mila poliziotti, chiedendo prezzi più bassi, nuove elezioni e una riforma costituzionale che limiti il potere assoluto di re Abdullah.

2. TUNISINI CONTRO GANNOUCHI
Insoddisfatti dalla prospettiva di andare alle urne entro metà luglio, a Tunisi decine di migliaia di persone hanno chiesto le dimissioni del governo di transizione guidato da Mohammed Gannouchi.

3. IN PIAZZA AL CAIRO
A un mese dall'inizio delle rivolte, al Cairo decine di migliaia di dimostranti sono tornati in piazza Tahrir. Le tensioni non sono mancate, soprattutto quando un militare ha ordinato di smontare le tende. La situazione è in mano ai militari e la società civile - il movimento Kifaya in primis - invoca un consiglio presidenziale formato da un politico, un giudice e un rappresentante delle forze armate. Ed esige le dimissioni del governo nominato dal presidente Hosni Mubarak prima di andarsene, lo smantellamento dell'apparato di sicurezza, il rilascio dei prigionieri politici e il processo immediato dei corrotti.

4. PROTESTE IN IRAQ
In Iraq le autorità avevano cercato di evitare la giornata della collera volta a chiedere riforme politiche, meno corruzione e migliori servizi pubblici ma non un cambio di regime. In televisione, il premier al-Maliki ha invitato gli iracheni a non scendere in strada, adducendo motivi legati alla sicurezza e accusando gli organizzatori di essere seguaci di Saddam e di al-Qaeda. A Baghdad le forze di sicurezza hanno vietato la circolazione delle auto ma non è servito: le dimostrazioni si sono svolte anche a Mosul, Ramadi, Bassora, Kirkuk, Falluja, Hawija e nella provincia settentrionale di Salahuddin. La situazione è sfuggita di mano e le forze dell'ordine hanno sparato sulla folla, uccidendo almeno 15 persone.

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Tags Correlati: Al Jazeera | Al Qaeda | Borse | Consiglio di sicurezza | Forze Armate | Francia | Gran Bretagna | Hosni Mubarak | Medio Oriente | Michèle Alliot-Marie | Michele Cervone | Mohammed Gannouchi | Muammar Gheddafi | Onu | Saif Al-Islam | Tripoli | Tunisia | Wti

 

5. TENSIONI IN YEMEN
Dopo gli scontri dei giorni scorsi tra dimostranti e forze governative, in Yemen sono giunte le rassicurazioni del presidente Saleh che - d'accordo con la Casa Bianca - si è impegnato a non reprimere il dissenso ma i feriti sono una ventina e ad Aden un giovane è stato ucciso dalla polizia. Oltre 100mila persone hanno affollato le strade di Taiz, un tempo capitale e oggi centro intellettuale, nel "venerdì dei martiri" volto a commemorare due dimostranti uccisi da una granata. Un centinaio di tende, in piazza, come gli egiziani di piazza Tahrir. «Non abbiamo partiti, la nostra rivoluzione è dei giovani» è lo slogan, a ricordare che l'età media degli yemeniti è 17 anni. Un mullah ha tenuto un sermone, prendendo di mira l'oppressione in sé ed evitando di citare il presidente. Ma la gente la pensa diversamente, e vicino all'università della capitale Sanaa decine di migliaia di dimostranti hanno chiesto le dimissioni di Saleh. Come altrove, anche in Yemen «si tratta di un movimento promosso dalla società civile e da gruppi di studenti, mentre la maggioranza silenziosa della popolazione non si è ancora schierata», spiega Michele Cervone d'Urso, capo della delegazione dell'Unione Europea in Yemen. Per il resto la situazione sociale nel paese è diversa da quella egiziana e tunisina: «La classe media è quasi assente, l'uso di internet limitato e, se la protesta dovesse evolvere, le varie tribù avranno senz'altro un ruolo chiave, ancora più dell'esercito».
6. I MARTIRI DEL BAHREIN
Mercoledì in Bahrein le autorità hanno cominciato a liberare prigionieri politici, tra cui 23 persone accusate di aver cercato di rovesciare la monarchia sunnita. E ieri la giornata della collera ha cambiato nome, diventando il "venerdì del lutto" per commemorare i "martiri" uccisi dall'inizio delle proteste. Ancora una volta, i dimostranti si sono ritrovati nella piazza delle Perle di Manama e sono stati così numerosi da bloccare il traffico. Per la prima volta a fare da collante sembrano essere i leader religiosi sciiti: accanto alle bandiere rosse e bianche del Bahrein sono apparsi gli stendardi neri delle processioni di Ashura, ed è stato intonato lo slogan «siamo i vincitori, e la vittoria arriva da Dio». Potrebbe quindi cambiare direzione il movimento di opposizione, cui per ora partecipano anche i sunniti.

7. PETIZIONE SAUDITA
Intanto qualche notizia filtra anche dall'Arabia Saudita, dove diversi personaggi hanno organizzato una petizione per chiedere riforme. Le richieste sono state messe online e riprese dal sito di al-Jazeera. Segno che, al di là delle manifestazioni di piazza, in qualche caso la rete resta l'unico mezzo per varcare le frontiere e far sentire la voce del dissenso.
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DIARIO DELLA CRISI
TRIPOLI SOTTO ASSEDIO SAIF: PRONTI A TRATTARE
- Gli abitanti di Tripoli vivono nella paura. Sentono sparare, si rinchiudono nelle case. È impossibile calcolare quanti siano finora i caduti nella battaglia per Tripoli
- Muammar Gheddafi è uscito per un momento dal suo bunker ed è apparso sui contrafforti della Piazza Verde. «Sono con voi - ha gridato ai suoi sostenitori - siamo pronti a trionfare. Questo è il popolo che ha messo in ginocchio l'Italia»
- Mentre il cerchio si stringe attorno al raìs, il figlio Saif al-Islam lascia intravedere uno spiraglio: «Daremo una chance al negoziato»
LE DECISIONI DELLA DIPLOMAZIA
- La notizia più importante sul fronte diplomatico irrompe in serata: gli Usa annunciano sanzioni «unilaterali», prevedendo tutte le opzioni, inclusa dunque quella militare
- Sul fronte europeo sintetizza le posizioni della Ue il ministro degli Esteri francese Michèle Alliot-Marie: «Non bastano più i discorsi, è tempo di agire»
- Al Consiglio di Sicurezza dell'Onu si punta a una risoluzione sostenuta da Francia, Gran Bretagna e Usa che prevede il congelamento dei beni di Gheddafi, l'embargo sulle armi e l'intervento della Corte internazionale di giustizia
NELLE PIAZZE VANNO IN SCENA RABBIA E LUTTO
- Dal Nordafrica al Medio Oriente, il filo rosso delle proteste ha unito anche ieri centinaia di migliaia di persone
- In Tunisia ed Egitto le contestazioni hanno investito i governi di transizione
- Ad Amman, 6mila giordani hanno sfilato per chiedere prezzi più bassi e riforme costituzionali
- In Iraq le proteste sono sfuggite al controllo delle forze dell'ordine, che hanno sparato uccidendo almeno 15 persone
- In Bahrein la folla ha commemorato i manifestanti uccisi dall'inizio delle proteste
BRENT A 111 DOLLARI MA LE BORSE RESPIRANO
- Prosegue il rialzo del petrolio: alla vigilia di un fine settimana carico di incertezze per la Libia, gli investitori hanno continuato ad acquistare, anche se con più moderazione. A calmare i mercati sono le voci ufficiose di un intervento dell'Arabia Saudita per compensare l'interruzione delle forniture libiche
- Ne hanno approfittato le Borse, che hanno preso fiato dopo i cali dei giorni scorsi
- Brent e Wti ieri hanno comunque guadagnato meno dell'1%, chiudendo rispettivamente a quota 112,14 e a 97,88 dollari al barile
LA FRASE DEL GIORNO «Oggi la Libia è Tripoli e Tripoli è la Libia, e tutti sono uniti, sarà l'ultimo giorno di Gheddafi, insciallah» Movimento giovanile ShababLibya

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