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Il figlio del raìs: rischiamo la guerra civile

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Questo articolo è stato pubblicato il 27 febbraio 2011 alle ore 08:12.

In Libia si continua a combattere e a vivere in un clima di guerra, anche se la giornata di ieri è stata meno drammatica delle precedenti. A dominare la cronaca, le contradditorie interviste rilasciate dal figlio del colonnello Muammar Gheddafi. Nella prima, all'emittente inglese Channel 4, Saif al-Islam ha dichiarato che «il morale è molto alto» e che suo padre non «ha più» timori di guerra civile: «Il popolo libico si è svegliato e ha capito il pericolo. Ora siamo ottimisti». Saif ha ribadito che Bengasi «è parte della Libia. Siamo fratelli. Viviamo assieme e moriamo assieme». In una successiva intervista alla tv al-Arabya ha ribadito quest'ultimo concetto: «L'Est della Libia non può separarsi dal paese». Ma è poi tornato sulla guerra civile sostenendo che «il popolo libico non ha alcun futuro senza un accordo» e che tutte le opzioni sono sul tavolo, inclusa «la guerra civile». «I manifestanti libici sono manipolati dall'estero - ha aggiunto - ma la situazione è sotto controllo in tre quarti del paese, anche se c'è una volontà di cambiamento» espressa dall'opposizione.
L'ex ministro della giustizia libico Mustafa Abdeljalil ha detto al quotidiano indipendente Quryna di essere impegnato nella formazione di un nuovo governo ad interim che avrà la sua sede a Bengasi. «Solo Gheddafi è responsabile per i crimini commessi nel suo paese», ha aggiunto l'ex ministro. Intanto in serata si sono uditi spari a Tripoli, seguiti da numerose sirene e clacson di auto in fuga. Le truppe ancora fedeli a Gheddafi hanno aperto il fuoco sui dimostranti a Sabratha, vicino al confine con la Tunisia, causando «diversi feriti». Un gruppo di mercenari filo regime a bordo di elicotteri ha sparato su un corteo funebre a Misurata, terza città del paese, controllata dall'opposizione, a 150 km ad est di Tripoli. La diplomazia continua la sua attività di pressione: Gran Bretagna, Francia e Canada hanno sospeso le attività delle ambasciate a Tripoli.
Non si placano intanto i focolai della protesta in tutta la regione.

TUNISIA
Violenti scontri si sono scatenati ieri fra manifestanti e forze dell'ordine nel centro di Tunisi che, secondo testimoni, si è trasformato in un vero e proprio campo di battaglia. Tre persone sono morte, oltre 100 gli arresti. I poliziotti hanno lanciato lacrimogeni e sparato colpi di avvertimento mentre i manifestanti li bombardavano di pietre. Agenti delle unità anti-sommossa e altri in borghese, la maggior parte incappucciati, hanno tentato di respingere i manifestanti che continuavano a lanciare sassi all'altezza dell'avenue di Paris, adiacente alla centrale avenue Habib Bourguiba. Dei dimostranti hanno divelto pannelli pubblicitari e panchine per tentare di sbarrare il passaggio ai furgoni della polizia. Partecipavano agli scontri anche delle donne.

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Tags Correlati: Bahrein | Bengasi | Channel | Consiglio di Stato | Francia | Habib Bourguiba | Hassan Mashaimaa | Issa Al | Mena | Muammar Gheddafi | Mustafa Abdeljalil | Saif Al-Islam | Tarek el-Bechri | Tripoli | Tunisia | Yemen

 

YEMEN
È salito a sette il bilancio delle persone decedute ad Aden, città nel sud del paese, a partire da venerdì pomeriggio, dopo che la polizia ha aperto il fuoco per disperdere una manifestazione di protesta.

BAHREIN
Il re del Bahrein, Hamad ben Issa Al-Khalifa, ha deciso un rimpasto di governo: senza silurare nessun ministro, il sovrano ne ha spostati cinque. Intanto nel paese proseguono le proteste contro il governo. Ieri Hassan Mashaimaa, leader in esilio dell'opposizione sciita, è tornato nella capitale Manama. Mentre migliaia di manifestanti sfilavano al grido "Hamad vattene", responsabili dell'opposizione indicavano che il «dialogo nazionale» non è ancora iniziato. Al confine con il Bahrein è andata in scena una nuova protesta degli sciiti nelle province orientali dell'Arabia Saudita, ricche di petrolio. Si tratta della seconda manifestazione, dopo quella del 19 febbraio scorso, per chiedere la liberazione di alcuni compagni arrestati.

EGITTO
La Commissione incaricata di studiare gli emendamenti alla Costituzione egiziana ha suggerito che i mandati presidenziali siano limitati a due, e che la durata di ciascun mandato passi da sei a quattro anni. Lo riferisce l'agenzia ufficiale Mena. La commissione, voluta dall'esercito che ha preso il controllo del paese dopo le dimissioni di Mubarak, è presieduta da Tarek el-Bechri, ex presidente del Consiglio di Stato. Sulle modifiche proposte si voterà entro due mesi con un referendum popolare.
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