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Questo articolo è stato pubblicato il 01 marzo 2011 alle ore 08:10.
Proprio per il rispetto dovuto al tenente degli alpini Massimo Ranzani, 37 anni, ucciso ieri in un attentato in Afghanistan e promosso capitano dopo la morte, la discussione intorno alla missione italiana non dovrebbe neanche iniziare. Il tenente è stato ucciso da una bomba che ha fatto saltare il blindato Lince su cui si trovava assieme ad altri quattro commilitoni rimasti feriti. L'attentato è stato rivendicato dai talebani. La natura e la difficoltà delle missioni all'estero sono note, non occorre riscoprirle a ogni doloroso evento luttuoso.
Non occorre riaprire la discussione sul «perché siamo andati in Afghanistan e perché dobbiamo restarci» e sul «perché non c'è ancora una exit strategy», argomenti troppo spesso ascoltati, al governo come all'opposizione. Restare in Afghanistan serve e l'impegno preso dal governo Berlusconi fu mantenuto anche da Prodi, che si ritirò invece dall'Iraq. Almeno finché il paese non sarà messo in sicurezza e non saranno tagliate le radici del terrorismo, minaccia per l'Occidente. I motivi che ci hanno portato in Afghanistan non sono cambiati, anzi la rivolta nei paesi islamici arabi la rende più attuale. La missione internazionale non dunque è conclusa. Bisogna rimanere anche per onorare la memoria dei caduti.