Questo articolo è stato pubblicato il 28 febbraio 2011 alle ore 06:46.
L'onda rivoluzionaria che sta correndo lungo le coste dell'Africa settentrionale, dall'Algeria all'Egitto, potrebbe costare cara alle imprese italiane. E non solo a chi ha un investimento diretto - uno stabilimento produttivo, una grande opera in costruzione - in questi paesi. In pericolo ci sono anche le aziende, piccole e grandi, che hanno le loro mura al sicuro sul suolo italiano ma che esportano i loro prodotti in Libia, Egitto, Tunisia e Algeria. Quanto rischiano? Molto: nel 2011 all'appello potrebbero venire meno fino a otto miliardi di euro di esportazioni.
Il dato non è ufficiale, ma mette insieme una serie di considerazioni avanzate dalle associazioni di settore. Molto meno timorose, rispetto alle singole aziende, di svelare i dati e lanciare l'allarme. Comincia l'Anie, che riunisce l'industria elettrotecnica ed elettronica italiana: quest'anno l'export verso la regione nordafricana perderà 1,2 miliardi di euro, di cui 800 milioni solo per i comparti dell'elettrotecnica. È una cifra pesante, è il 70% del totale delle esportazioni. Prima infatti che si accendesse la miccia della prima rivolta, quella tunisina, le stime sugli introiti 2011 ipotizzavano una crescita del 40%, per una cifra intorno agli 1,9 miliardi. Ora nelle casse dell'Anie potrebbero arrivare solo 700 milioni.
«La precarietà della vigente situazione politica – spiega il suo presidente, Guidalberto Guidi – metterà verosimilmente in discussione i grandi piani di investimento governativi di tutta l'Africa del Nord nei settori infrastrutturali più strategici per le nostre aziende: trasporti, energia elettrica, edilizia, telecomunicazioni. Il ricambio politico creerà inoltre problemi per quanto riguarda la nomina dei nuovi vertici alla guida degli enti pubblici, che sono i nostri principali committenti per i piani di sviluppo infrastrutturale, con conseguenze anche sulla messa in discussione delle commesse fino a ora siglate».
Di un analogo tracollo parla l'Ucimu, che raccoglie i costruttori di macchine utensili e robot: il danno economico è stimato in una riduzione del 70% del business. L'indicazione sulle macchine utensili è particolarmente importante: costituiscono, è vero, solo una piccola fetta delle apparecchiature destinate a questi paesi. Ma il comparto dei macchinari è la prima voce dell'export italiano verso l'Algeria e l'Egitto, nonché una delle principali per Libia e Tunisia.