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Questo articolo è stato pubblicato il 01 marzo 2011 alle ore 13:18.

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Gheddafi resiste e contrattacca, i ribelli sembrano male organizzati sul piano militare e non in grado di strappare la Tripolitania al raìs. Uno stallo che potrebbe prolungarsi con effetti pericolosi per l'export petrolifero e di gas e per la sicurezza delle infrastrutture energetiche libiche. Anche se ufficialmente Stati Uniti, Nato e Ue negano di pianificare un intervento militare sul territorio libico, alcune voci riferiscono dell'arrivo di consiglieri militari britannici, francesi, statunitensi e forse anche tedeschi in aiuto agli insorti.

L'opzione militare più probabile, caldeggiata in ambito Nato e attuabile in tempi stretti, è l'instaurazione di una No-fly-zone sulla Libia o almeno sui territori orientali in mano ai rivoltosi che impedisca a Gheddafi di impiegare cacciabombardieri ed elicotteri per attaccare i ribelli e distruggere le infrastrutture petrolifere che potrebbero alimentare finanziariamente le opposizioni.

Un'operazione simile a quelle istituite dagli anglo-americani (senza avvallo dell'Onu) nel 1991-92 su due aree territoriali irachene, a sud e a nord, per impedire ai velivoli di Saddam Hussein di colpire dal cielo i miliziani curdi e sciiti. Nei confronti dell'Iraq le basi aeree per schierare i caccia destinati alle missioni di pattugliamento erano schierati in Kuwait e Turchia mentre una "No-fly-zone" libica dovrebbe impiegare necessariamente le basi in territorio italiano. Soprattutto Sigonella (gestita dall'aviazione di marina statunitense) che ospita anche i grandi velivoli teleguidati Global Hawk e la base di Trapani, sede del 37° stormo intercettori equipaggiato con caccia F-16.

Il trattato italo-libico impedisce all'Italia di mettere a disposizione di altri paesi le sue basi per minacciare Tripoli ma Roma ha disinvoltamente sospeso l'applicazione dell'accordo raggiunto a fatica con Gheddafi. Probabile l'utilizzo anche della base Nato di Suda Bay, a Creta, mentre tutta da valutare è la possibilità che Malta metta a disposizione il suo aeroporto di Luqa, fino al 1975 base della Royal Air Force britannica, così come la disponibilità di Tunisia ed Egitto a fornire aeroporti alle forze della Nato impegnate. Francia, Italia e Stati Uniti potrebbero inoltre mettere a disposizione i jet F-18, Rafale e Harrier imbarcati sulle portaerei.

L'istituzione di una No-fly-zone è di fatto un atto di guerra perché limita la sovranità di uno stato sul suo spazio aereo. Per applicarla sarà necessario un mandato Onu ottenibile senza troppe difficoltà dopo la condanna internazionale di Gheddafi e adducendo ragioni umanitarie.

Sul piano pratico l'aeronautica di Gheddafi non rappresenta una seria minaccia per i jet della Nato. Del centinaio di Mig, Sukhoi e Mirage ufficialmente in servizio insieme ad altrettanti elicotteri è impossibile sapere quanti siano realmente operativi. Un'opzione più aggressiva potrebbe vedere blitz aerei contro i jet e gli elicotteri di Gheddafi tesi a indebolire le forze ancora in mano al raìs, mentre per istituire una No-fly-zone limitata alla Cirenaica sarebbero sufficienti una ventina di caccia Typhoon, F-15, F-16, Rafale appoggiati da alcune cisterne volanti per rifornirli in volo e prolungare i tempi di volo. Una forza sufficiente a mantenere costantemente in volo due pattuglie composte ognuna da una coppia di velivoli. Il controllo dello spazio aereo libico e la guida dei caccia contro eventuali jet libici in avvicinamento verrebbe effettuato dagli aerei radar Awacs della Nato o delle forze aeree statunitensi, britannica e francese. Una missione più ampia che voglia impedire a Gheddafi anche i voli sulla Tripolitania richiederebbe invece almeno una cinquantina di velivoli. Una sola portaerei statunitense sarebbe in grado di imporre da sola un totale blocco dei voli sulla Libia.

Ieri, il premier britannico David Cameron ha fatto sapere di aver ordinato alle forze armate di «lavorare insieme ai nostri alleati su una no-fly zone militare», mentre gli Stati Uniti hanno annunciato un riposizionamento delle sue forze aeree e navali e l'invio nel Mediterraneo di circa 2.000 marine anche se il Segretario di stato Usa, Hillary Clinton, ha dichiarato che non è prevista alcuna azione militare in Libia che coinvolga delle unità navali statunitensi. Il premier francese François Fillon ha confermato che sono allo studio tutte le opzioni, compresa quella di interdire le operazioni di volo sul territorio libico, che richiederebbe il coinvolgimento della Nato dopo l'approvazione del Consiglio di sicurezza dell'Onu. Anche l'Italia si è dichiarata favorevole a una no-fly zone. A quanto scrive oggi il Times, l'Alleanza Atlantica starebbe mettendo a punto i piani anche per armare i ribelli libici. Eventuali resistenze in ambito Onu potrebbero indurre Londra e Washington ad agire da soli o con una "coalition of the willing", la stessa formula adottata per l'invasione dell'Iraq nel 2003.

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