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Questo articolo è stato pubblicato il 01 marzo 2011 alle ore 06:38.

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NALUT. Dal nostro inviato
«Preghiamo Dio che ci aiuti a vincere Gheddafi», è scritto in un foglio affisso al muro. Non è un'implorazione ma un grido di vittoria. Perché tutti qui sono convinti che Dio sia con loro. E perché quel manifesto, per quanto piccolo, è affisso sulla stanza in cui il Mukabarat, la polizia segreta del dittatore, decideva chi imprigionare.
Oggi Nalut è libera, lo è dal 18 febbraio. «Quel venerdì, dopo la preghiera eravamo andati in una decina a manifestare davanti alla polizia» racconta Imad, 29 anni. «Il sabato in strada c'era tutta la città con noi». Per esserci Imad ha lasciato il suo lavoro nei campi petroliferi al sud e «data la situazione» ha rinviato il matrimonio previsto per marzo. «Ora siamo liberi, siamo i padroni della nostra vita».
Anche a ovest la Libia di Gheddafi si sgretola. Ma lentamente, con una resistenza molto più accanita di quanto non sia accaduto a est, in Cirenaica. In occidente il consenso per il colonnello è più difficile da scardinare. C'è ancora chi crede e qualche tribù fatica a liberarsi di antiche e fruttuose alleanze.
Ma il regime perde pezzi anche qui a ovest. Come Nalut, 25mila abitanti, passata senza combattere dalla parte dei rivoltosi insieme a quasi tutta la città del Jebel Nafusa, la regione desertica che corre lungo il confine tunisino.
Non è difficile arrivarvi. Bisogna solo percorrere 350 chilometri dalla costa fino a Dihbat, l'ultima città alla frontiera tunisina, e convincere i doganieri: quelli tunisini. Dall'altra parte c'è ancora un ritratto di Gheddafi e una bandiera verde della Jamahiriya. Ma la polizia libica è sparita. Quattro chilometri più in là, però, la gente di Wazen, il primo villaggio libico dopo la frontiera, prende a sassate gli stranieri che passano. «Lì sono ancora tutti fedeli a Gheddafi», avevano avvisato alla frontiera. Tirano solo sassi e non sparano perché gli altri villaggi attorno sono con la rivolta e badano a non provocare troppo. Forse ancora si aspettano tempi migliori per loro.
Attraversando il deserto inaspettatamente bello, Nalut appare prevedibilmente brutta. Qualcosa è arrivato dai proventi petroliferi, ma non molto. In città ci sono ancora i segni della breve rivolta: una caserma semi bruciata insieme a qualche auto, il monumento abbattuto al Libro Verde di Gheddafi. Ma non ci sono segni di battaglia. Alla fine, i 22 militari che avevano rifiutato di unirsi alla sollevazione erano stati lasciati andare. Nessun morto e nemmeno feriti. Una liberazione ideale.
«Tutte le città del Jebel Nafusa sono state liberate», dice l'avvocato Chavan con soddisfazione, elencandole tutte. Con lo sheikh Issa, lo sheikh Mohammed e Ali, ingegnere petrolifero in pensione, l'avvocato è un membro del Consiglio dei saggi, i notabili che governano la città «in attesa che il governo provvisorio di Bengasi governi tutto il paese». All'inizio si limitano ai nomi «perché siamo liberi ma non ancora così liberi». Poi l'orgoglio della vittoria prende il sopravvento e i saggi svelano i loro nomi di famiglia. Ma c'è come un senso di trionfo incompleto, la paura che Gheddafi in qualche modo riesca a vendicarsi.
La zona liberata qui a ovest sembra vasta. La catena delle città libere prosegue ininterrotta fino a Gharyan, un'ottantina di chilometri a sud di Tripoli. Lì incomincia l'ultima trincea di Gheddafi, una linea di difesa ben munita dalla quale sembra difficile scalzarlo. «Liberate le nostre città, i nostri soldati andranno a combattere a Tripoli», dice l'avvocato Chavan. «Ma non subito», aggiunge. Il coordinamento fra la resistenza a ovest e l'opposizione vittoriosa a est migliora. Ma manca ancora il generale capace di sfidare e stanare Gheddafi dal suo fortino. La battaglia di Tripoli, quella vera, non è ancora incominciata. «In ogni caso la faremo da soli. È una questione libica, non europea o americana», chiarisce lo sheikh Mohammed in inglese, senza l'aiuto del traduttore, per essere chiaro. «Aiuto internazionale sì, aiuto militare no».
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AL CONFINE TUNISINO

Assedio alla capitale
Nalut, 25mila abitanti, appena oltre il confine con la Tunisia, è passata il 18 febbraio dalla parte dei ribelli, insieme ad altre città minori del Jebel Nafusa. L'ultima trincea di Gheddafi comincia a Gharian, un'ottantina di chilometri a sud di Tripoli

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