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Questo articolo è stato pubblicato il 02 marzo 2011 alle ore 10:01.

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Maroni: in Libia quasi 2 milioni di clandestini, pronti a riversarsi sulle nostre costeMaroni: in Libia quasi 2 milioni di clandestini, pronti a riversarsi sulle nostre coste

«Nelle prossime settimane c'è il rischio di un'emergenza arrivi dovuta all'incapacità delle autorità locali di affrontare la situazione e della perdurante assenza delle autorità internazionali». Il monito è del ministro dell'Interno, Roberto Maroni, che in un'audizione davanti alle commissioni Affari costituzionali e Esteri della Camera ha sottolineato come le stime parlino di «100mila persone in fuga dalla Libia, l'Unhcr ha parlato di 140mila profughi. Quello che ci preoccupa - ha detto Maroni - è la pressione col confine tunisino perché è a poche decine di miglia dall'Europa, lì c'è il Maghreb. Pochi giorni fa la Libia ha chiuso il confine con la Tunisia chiudendolo con l'esercito. Attualmente in Tunisia sono accampate circa 60mila persone e altrettante sono in Libia sul confine, non potendo passare».

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Maroni ha ribadito che «in Libia sono presenti fra un milione e mezzo e due milioni e mezzo di clandestini, entrati nel Paese a causa dell'impossibilità di controllare le frontiere a Sud.
La crisi sta inducendo queste persone ad andarsene verso Est e verso Ovest; nessuno sta prendendo la direzione Sud. Mi aspetto che, non appena la situazione lo permetterà, riprenderanno la direzione Nord». Questo, ha sottolineato il ministro, «è lo scenario peggiore fra quelli possibili, e cioè che arrivino circa 200mila persone in fuga dalla guerra. La chiusura della frontiera Libia-Tunisia accentua questo rischio. Il governo si sta preparando al rischio di un impatto senza precedenti sulle nostre coste».

La situazione dei profughi dalla Tunisia
L'accordo tra l'Italia e la Tunisia «prevede il rimpatrio, ma le autorità tunisine accettano di accogliere solo quattro connazionali al giorno», ha spiegato il ministro dell'Interno. «Se si considera che in queste settimane sono arrivati circa 2mila tunisini - ha detto Maroni - con questo ritmo ci vorrebbero almeno tre anni per rimpatriarli tutti». L'Italia, ha argomentato, «sta quindi negoziando una deroga per avere la possibilità di rimpatri più numerosi che sarebbero un segnale importante anche verso coloro che hanno intenzione di partire e imbarcarsi verso l'Europa». E ha aggiunto: «Concluso il negoziato col premier del governo transitorio che si è poi dimesso, ora ci toccherà ricominciare. Comunque il meccanismo di controllo e monitoraggio e collaborazione tra le autorità tunisine e quelle italiane sta riprendendo».

Nessun supporto dalle autorità
Il ministro ha rilevato che questo è avvenuto «negli ultimi tre quattro-giorni, il che significa che la situazione è grave e rischia di diventare drammatica perché le autorità libiche non danno alcun supporto, le autorità tunisine con la Mezzaluna rossa danno un sostegno ancora non organizzato. Questa massa umana che sta in Tunisia e in Libia preme e dovrà avere un'assistenza adeguata a partire da subito». Maroni ha sottolineato che «è una vera e propria emergenza umanitaria, cui finora la comunità internazionale non ha saputo dare risposta adeguata, si è parlato di raid aerei ma la gestione della situazione umanitaria finora è stata lasciata alle autorità locali. E' un errore grave da parte della comunità internazionale».
Ieri sera, ha ricordato Maroni, c'è stata una riunione del governo italiano per l'assistenza umanitaria ed è stato deciso che sarà costituito un campo profughi «per consentire a queste persone di sopravvivere in condizioni decenti».

Il rischio terrorismo
In Libia c'è il rischio «che l'instabilità favorisca l'infiltrazione del terrorismo internazionale. Un report di Europol parla di futuri scenari in questo senso e io esprimo preoccupazione che quanto sta avvenendo in Libia possa portare a un governo del paese molto più simile all'Afghanistan e alla Somalia, piuttosto che a un governo amico dell'Italia», ha detto il ministro dell'Interno. «È un rischio grave e reale», ha continuato Maroni: «Attualmente la Libia è divisa in due tra rivoltosi e lealisti, una situazione di stallo che nessuno è in grado di sapere quando si risolverà».

Le società italiane in Libia sono tutelate
La tutela delle società italiane che lavorano in Libia «è sotto controllo. A ovest, nella zona di Tripoli, non ci risultano particolari problemi nè rischi particolari, mentre a Est invece ci sono problemi, anche se la situazione è seguita costantemente in diretto contatto con le società», ha detto Maroni.

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