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Questo articolo è stato pubblicato il 03 marzo 2011 alle ore 07:59.

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Esperti e analisti immaginano un futuro caratterizzato da confronti bellici imperniati sulle cyber-war ma gli eventi degli ultimi tempi mostrano che c'è ancora bisogno di navi, aerei e truppe di pronto impiego.
La crisi libica e le rivoluzioni arabe rischiano di rimettere in discussione le pianificazioni strategiche dell'Occidente tese a far combaciare le previste esigenze operative con i consistenti tagli ai bilanci delle forze armate. I fatti delle ultime settimane, dalle rivolte in Nord Africa alle navi iraniane in Siria, sembrano riportare il Mediterraneo al centro del mondo a dispetto delle previsioni (sottolineate anche nella National Military Strategy statunitense) che individuano nell'Asia/Pacifico il campo di battaglia dei futuri confronti strategici.

Solo pochi giorni or sono il segretario alla Difesa Usa Robert Gates ha dichiarato davanti ai cadetti di West Point che le possibilità di effettuare operazioni militari simili a quelle in Iraq e Afghanistan sono scarse anche a causa dei tagli al bilancio, 78 miliardi di dollari nei prossimi cinque anni. Le rivolte che stanno destabilizzando l'intera area petrolifera, dal Maghreb alla Penisola arabica, potrebbero però richiedere interventi simili anche solo per garantire gli approvvigionamenti energetici. Sul versante europeo l'Italia ha ridotto al lumicino i fondi per addestramento e manutenzione rinunciando a 4 delle 10 nuove fregate Fremm mentre Francia, Gran Bretagna e Germania hanno varato tagli a personale e mezzi che porteranno risparmi per 5/9 miliardi di euro in quattro anni. A fare le spese delle riduzioni di truppe, aerei, mezzi terrestri e navi saranno soprattutto le capacità di inviare in aree lontane contingenti militari completi e flessibili in grado di combattere per tempi prolungati.

L'esempio della Gran Bretagna è il più calzante dopo che i tagli decisi dal governo di David Cameron hanno privato Londra delle portaerei fino al 2020 e soprattutto dell'intera flotta di 70 velivoli imbarcati Harrier radiati nel dicembre scorso con quattro mesi di anticipo. Un depotenziamento senza precedenti nella storia britannica.

Sotto la scure finanziaria sono finiti anche 17mila militari, carri armati, artiglierie, jet da pattugliamento, intelligence e da combattimento al punto che il vice Maresciallo dell'aria Greg Bagwell ha dichiarato con ironia tutta britannica che la Royal Air Force sarà «leggermente più forte dell'aeronautica belga».

Nonostante le dichiarazioni bellicose di Cameron nei confronti di Gheddafi i britannici non sarebbero oggi in grado di condurre operazioni autonome in Libia. Il blitz effettuato nei giorni scorsi dalle forze speciali dello Special Air Service, che a bordo di aerei cargo C-130 hanno evacuato numerosi civili britannici dal deserto libico, ha avuto successo ma, secondo indiscrezioni, un velivolo ha incassato colpi di armi automatiche. Se fosse stato abbattuto o non avesse potuto decollare, l'assenza di portaerei e Harrier avrebbe impedito di recuperare civili e militari con gli elicotteri proteggendoli con i cacciabombardieri.

Un intervento militare in Libia probabilmente potrà contare sulle basi in Sicilia ma non è detto che vi siano aeroporti utilizzabili nei pressi del prossimo imprevedibile fronte che dovesse aprirsi. Va considerata poi poco più che un auspicio la cooperazione tra i partner Nato/Ue per integrare nelle operazioni i rispettivi dispositivi militari e coprire le lacune dei singoli strumenti nazionali. L'accordo strategico tra Londra e Parigi del novembre scorso prevede infatti un impiego congiunto della portaerei francese De Gaulle ma sull'intervento militare in Libia (come su quello in Iraq nel 2003) i francesi hanno posizioni diverse e sono contrari anche all'applicazione di una no-fly zone. In un contesto sempre più confuso nel quale paesi alleati sono anche rivali e concorrenti commerciali, rinunciare a mezzi militari in grado di garantire l'autonomia operativa nazionale può rivelarsi un autogol decisivo.

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