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Questo articolo è stato pubblicato il 03 marzo 2011 alle ore 06:38.

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Shahbaz Bhatti aveva preannunciato la sua stessa morte. «Conosco il significato della Croce - aveva detto in un'intervista quattro mesi fa - seguirò la Croce. Le forze della violenza, i talebani e al-Qaeda vogliono imporre sul Pakistan la loro filosofia radicale. Mi hanno minacciato, ma sono pronto a morire per difendere i diritti delle minoranze. Preferisco morire per i miei principi, piuttosto che accettare compromessi». Lo hanno ucciso ieri mattina a Islamabad, crivellando di colpi la sua automobile. Shahbaz Bhatti, 42 anni, era ministro per le Minoranze religiose, il solo cristiano del governo pakistano. Cattolico: il 12 settembre scorso venne ricevuto da papa Benedetto XVI a Castel Gandolfo. Shahbaz gli disse: «Credo che cambiare la mente e il cuore delle persone sia la cosa più importante. Noi stiamo facendo tutto il possibile perché la gente si voti all'armonia e alla pace».
È morto in ospedale, un testimone ha riferito di aver sentito sparare per mezzo minuto. Si indaga sui motivi per cui in quel momento la scorta non era con lui. Accanto all'auto, sotto la pioggia, hanno trovato dei volantini con nomi che le televisioni locali hanno subito collegato ai talebani e ad al-Qaeda: una delle firme, Tehrik-i-Taliban, ha poi rivendicato il gesto al servizio in urdu della Bbc. Sui foglietti c'era scritto che Shahbaz è un infedele: «Questa è la punizione per un uomo maledetto».
La scia di sangue si allunga: poco lontano dal luogo dell'imboscata, il 4 gennaio scorso avevano ucciso Salman Taseer, governatore del Punjab. La ragione è la stessa. Taseer e Bhatti lottavano per modificare la legge contro la blasfemia, che in Pakistan prevede la pena di morte per chiunque insulti l'Islam, direttamente o indirettamente, in forma verbale o scritta: il testo della legge è vago. In un paese a grande maggioranza musulmana - i cristiani sono circa il 2% - la severità della legge lascia chi professa altre fedi nella paura: chiunque può usarla per vendette personali, per discriminare, perseguitare.
È la storia di Asia Bibi, cristiana condannata a morte per aver insultato il nome del Profeta Maometto. La accusano le donne del suo villaggio, nel Punjab. Stava raccogliendo bacche con loro, un giorno di giugno del 2009, una discussione sulla condivisione dell'acqua si è trasformata nell'incubo di Asia e della sua famiglia, l'unica famiglia cristiana nel villaggio. Asia, madre di cinque figli, è stata condannata all'impiccagione in dicembre. Salman Taseer e Shahbaz Bhatti erano intervenuti in sua difesa.
Finora nessuna sentenza è mai stata eseguita, le condanne vengono trasformate in appello in carcere a vita. Ma né Asia, né gli altri condannati come lei possono sentirsi sicuri in carcere. «Se la legge punisce qualcuno per blasfemia, e quella persona viene graziata, prenderemo la legge nelle nostre mani», aveva detto l'Imam della moschea del villaggio di Asia Bibi. Un leader religioso radicale ha offerto 5.800 dollari «per farla fuori», molti condannati sono stati uccisi in cella. A loro si aggiungono le vittime di chi applica la legge da sé, fuori dai tribunali. Fondamentalisti, a cui però non manca l'appoggio della gente comune che in gennaio, sorprendentemente, ha preso le parti dell'assassino del governatore Taseer, una delle sue guardie del corpo. Per quanto ha fatto Mumtaz Qadri è stato trasformato in un eroe.
Il governo del presidente Asif Ali Zardari - vedovo di Benazir Bhutto - e del primo ministro Yusuf Raza Gilani appaiono sempre più deboli e impotenti di fronte al conservatorismo islamico. Di chi dovrebbero avere paura - scrive sul quotidiano Dawn l'editorialista Nadeem Paracha - i fanatici violenti, gli assassini che usano le moschee per annunciare la lista dei nemici da abbattere? «Lo stato, il governo, la legge - accusa Paracha - hanno capitolato di fronte alla psicosi che in tv, nelle moschee e nel cyber-spazio ci presentano come "la vera fede"».
Zardari e Gilani ieri hanno rinnovato la loro determinazione a combattere il terrorismo e l'estremismo religioso, ma in realtà i moderati e gli uomini come Shahbaz Bhatti vengono lasciati sempre più soli. Sherry Rehman, la deputata che lo scorso anno ha presentato in Parlamento la proposta di modifica alla legge sulla blasfemia, è stata costretta dal suo stesso partito a far marcia indietro. Ora vive semi-nascosta, riceve minacce per telefono e e-mail ogni mezz'ora. Ma il governo del Pakistan ha abbandonato la battaglia, ha comunicato che non sosterrà la riforma nella speranza di spegnere le fiamme dell'estremismo. E questo rende ancora più disperata e «inqualificabile», come ha detto il Vaticano, la morte di Shahbaz Bhatti. La sua causa era già perduta.
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VITTIME

La tragedia dell'intolleranza
Shahbaz Bhatti (sopra), unico ministro cristiano nel governo del Pakistan, aveva preso le difese di Asia Bibi (sotto), la donna cristiana condannata a morte con l'accusa di aver insultato il nome di Maometto. La pena capitale è prevista da una legge che Bhatti avrebbe voluto riformare, considerandola un'arma di persecuzione delle minoranze nelle mani degli estremisti islamici, sempre più numerosi

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