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Questo articolo è stato pubblicato il 06 marzo 2011 alle ore 08:10.
Il rischio-paese penalizza le banche italiane: il funding, ossia la raccolta di liquidità, sta diventando sempre più costoso per gli istituti e soprattutto vengono meno tradizionali forme di finanziamento. Le emissioni di bond bancari sono ridotte al lumicino perché il prezzo da pagare (ossia l'interesse riconosciuto ai sottoscrittori) è cinque volte quello del 2008. Di cartolarizzazioni di mutui, nemmeno a parlarne. C'è la strada del mercato interbancario, ma vale solo per il brevissimo termine. E, anomalia italiana, i nostri istituti non amano ricorrere alla Banca centrale europea (Bce), a cui gli altri paesi ricorrono in modo massiccio. I dubbi sui fondamentali economici italiani allontanano gli investitori esteri e le banche hanno difficoltà a finanziarsi. Uno scenario preoccupante se non ci fossero due valvole di sfogo: i correntisti e l'attesa di un rialzo dei tassi di interesse. Secondo alcuni studi le banche prelevano due terzi delle necessità finanziarie dai clienti retail (risparmiatori e correntisti). Ora l'imminente rialzo dei tassi porterà ossigeno agli istituti di credito: la rata del mutuo potrebbe rincarare fino al 17% da qui al 2013 e aumenteranno i costi anche per le imprese.