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Questo articolo è stato pubblicato il 06 marzo 2011 alle ore 08:14.
BERGAMO. «La Lega è la forza politica che può battere chiunque. Non avevamo niente, ma tutto ha funzionato. Mi ricordo tante belle cose che mi hanno riempito la vita». E ancora: «Maroni, Calderoli e Giorgetti. Sono tutti amici. Quando avverto che uno dei miei vuole troppo potere, lo caccio via. Non credete a quello che dicono. Maroni, Calderoli e Giorgetti sono amici». Umberto Bossi adotta il registro del pathos. La Lega, nel pieno di una «costituzionalizzazione» che ha scavato più di un solco fra i vertici e la base, è tornata a parlare al suo popolo.
Per farlo ha scelto Bergamo, l'altro cuore lombardo del movimento oltre alla Varese dei Bossi e dei Maroni, dei Reguzzoni e dei Giorgetti. Un cuore di tipo diverso: a Varese i generali e il potere vero, a Bergamo la truppa e il mito fondativo del giuramento a Pontida dei comuni lombardi e veneti contro il Barbarossa. L'occasione sono stati i 25 anni di vita della Lega in città, cena per duemila militanti dentro alla fiera, un po' vecchia Festa dell'Unità e un po' Tea Party per famiglie italiane militanti ma quiete, moquette marron distesa sul pavimento del capannone e luci stroboscopiche.
Alla festa ha partecipato, oltre al Senatur, l'intero stato maggiore, per un giorno non diviso dalle rivalità personali. Limitandosi al tavolo principale della cena, alla destra di Bossi era seduto il bergamasco Calderoli, alla sinistra Maroni più Renzo Bossi, Cota e Giorgetti. Il passaggio politico è stretto. La trasformazione in legge del federalismo è l'obiettivo che ha determinato, almeno finora, le scelte di Real Politik del Carroccio: con Berlusconi, nonostante gli scandali e i processi, per riuscire a ottenere il federalismo.
«La festa di Bergamo - dice lo storico della Statale di Milano, Stefano Bruno Galli, intellettuale d'area - è una sorta di riconciliazione fra i vertici e i militanti, che hanno guardato con molta perplessità le vicende personali di Berlusconi e che per un attimo hanno pensato che lui non fosse più il garante del federalismo». Un federalismo a cui lavora Calderoli, che è di Bergamo. È lui a «sporcarsi le mani» e a mediare nelle commissioni e in Parlamento, nelle stanze romane e con i sindaci. Ancora ieri sera ha detto: «Lo stato farà la sua parte e le regioni faranno la loro. Un accordo si troverà» (l'incontro è previsto mercoledì prossimo).
Questa operatività lo ha reso centrale nella nostra vita pubblica, ma allo stesso tempo dentro al partito ha riempito lo zaino sulla sua schiena di responsabilità e di attese. Con il risultato che, nella lotta fra colonnelli per rimanere vicino a Bossi così da potersi giocare bene le carte quando questi non ci sarà più, Calderoli fa fatica. Maroni si sta muovendo bene: si è costruito un profilo bipartisan, ma non ha rinunciato a uscite puntute come quella di ieri sera, quando ha avvertito Berlusconi che «è la Lega che deciderà se e dove andare da sola alle amministrative», ricordando che questo tema sarà affrontato al consiglio federale di domani in via Bellerio. Calderoli e Maroni non fanno parte del «cerchio magico» formato da quanti accudiscono il Bossi malato.
Un gruppo ristretto in cui cresce l'influenza del capogruppo alla Camera Reguzzoni. Dunque, è anche per ricompensare lo "sgobbone" Calderoli che Bossi ha scelto di schierare tutto lo stato maggiore del partito ieri sera a Bergamo. Che resta il luogo del mito di Pontida a cui ricorrere nei momenti difficili, il cielo sotto cui Bossi esercita il fiuto animale per intuire cosa vuole la sua gente e fino a che punto può spingere la tecnica politica e la gestione del potere senza deluderla in modo irrimediabile.
Per una volta, niente discorsi sui posti da occupare, nessuna rivalità fra i dirigenti da sedare, nessun casino con i militanti che riversano le loro delusioni a Radiopadania. Solo il contatto con i militanti. Qui a Bergamo nel 1991 da un notaio è stato sottoscritto l'atto costitutivo della Lega Nord, che sancì l'alleanza di tutti i movimenti autonomisti. Ma Bergamo vuol dire anche i 300mila delle valli che, secondo l'Umberto ritratto in canottiera in Sardegna il 29 agosto del 1994, otto anni prima sarebbero stati pronti a prendere i fucili contro lo stato centrale (e unitario).
«La Lega è nata a Varese, ma ha messo radici ancora più profonde a Bergamo», dice Galli. Che ricorda come, venticinque anni fa, il primo sindaco leghista sia stato eletto a Gandino, vicino a Clusone. Nemmeno a Varese si è arrivati a quel 40% che in maniera sistematica il partito ottiene nelle valli e nella Bergamasca. «E anche a Bergamo città - dice Alberto Ribolla, a 26 anni capogruppo in comune - siamo al 22%, il doppio di cinque anni fa».
Bergamo conta poco nella gerarchia della Lega: il capo dei media del partito Giacomo Stucchi è stato appena messo da parte a favore di Renzo Bossi, diventato supervisore di Radiopadania e Telepadania. Nonostante questo, nonostante Silvio, nonostante la guerra fra i colonnelli e nonostante l'autunno del patriarca malato qui il militante medio mette da parte i mal di pancia. «La pressione fiscale continua a essere altissima e negli uffici pubblici trovi sempre pochi settentrionali - ti spiega Pierluigi Turani, agente di commercio con la tessera dal 1996 - però è anche vero che in Italia non riesci a cambiare le cose neanche con il 51 per cento…».
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