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Questo articolo è stato pubblicato il 08 marzo 2011 alle ore 06:37.

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«Amore, racconta che quando sei diventato amministratore delegato l'azienda aveva 80 dipendenti e ora quasi 3.700». La principessa Lorenza de Liechtenstein, moglie di Francesco Trapani, lo guarda rapita mentre assaggia un cioccolatino al tartufo d'Alba al Bulgari Café di Omotesando, quartiere trendy di Tokyo. È il 28 novembre 2007 e il giorno prima Trapani ha tagliato il nastro della Bulgari Tower a Ginza, dieci piani con ristorante ovviamente italiano, di fronte a Cartier e di fianco a Louis Vuitton e Chanel. Un tassello fondamentale in un mercato che all'epoca era al top nei consumi di beni di lusso, prima di essere sorpassato in quarta dalla emergente Cina.
Classe 1957, laurea in Economia a Napoli e Mba alla New York University, l'imprenditore romano amante della vela – artefice della clamorosa operazione da 4,3 miliardi di euro con il colosso Lvmh – entra in azienda nel 1981 in un modo che lui stesso definisce atipico: «Mia madre Lia Bulgari era stata liquidata dai fratelli e io ero stato assunto come semplice dipendente».
Ma Trapani respira fin da piccolo l'aria preziosa di famiglia: è il suo bisnonno Sotirio, un tostissimo greco dell'Epiro specializzato in lavorazioni d'argenteria, che tra mille peripezie si trasferisce in Italia nella metà del XIX secolo e inaugura il suo primo negozio in via Sistina a Roma. Nel 1905 Sotirio punta dritto su via Condotti, che ancora oggi è lo store simbolo del marchio.
Giorgio e Costantino, figli di Sotirio, iniziano a innovare rispetto alla tradizione di casa e negli anni '40 creano uno stile ispirato al classicismo greco-romano e al Rinascimento: le antiche monete utilizzate per formare i gioielli diventano un'icona e tra il 1950 e il '60, in piena Dolce vita, altezze reali e star di Hollywood (inclusa Ingrid Bergman con l'allora piccola Isabella Rossellini, che ora disegna borse per Bulgari) vengono paparazzate in via Condotti dove acquistano estrosi gioielli in pietre preziose colorate, un inedito a quei tempi, spesso tagliate in originali forme «cabochon».
Negli anni '70 partono le aperture di negozi a New York, Ginevra, Montecarlo e Parigi, mentre viene lanciato il primo orologio e scende in campo la terza generazione: Gianni, Nicola e Paolo. L'azienda resta familiare e artigianale in senso stretto fino al 1984: i dipendenti sono appunto 80, il fatturato sfiora i 60 miliardi di vecchie lire, come puntualizza la signora Lorenza, e i negozi sono cinque. Ma arriva il colpo di scena: un turbolento consiglio di famiglia, ovviamente mai confermato ufficialmente, conduce all'uscita di Gianni. Trapani fa pressing sugli zii: ha solo 27 anni, è ansioso di dimostrare che può fare bene anche se, al contrario di loro, non ha una formazione specialistica nei gioielli. «Avevo le idee chiare sul medio-lungo termine – ha spiegato – mentre l'operatività quotidiana era per me un'incognita. A causa dell'età, poi, all'inizio è stato difficilissimo coinvolgere le persone».
Gli zii – «che, in fin dei conti, ci mettevano il capitale», ha ricordato Trapani – gli affidano il timone e parte così una riorganizzazione a 360 gradi per trasformare la Bulgari in una realtà industriale e distributiva piuttosto pionieristica per tempi in cui anche gli stilisti italiani già celebri in tutto il mondo sono in pratica semplici maison di stile che affidano a terzi sia la produzione sia la commercializzazione dei loro prodotti.
A tappe forzate, il giovane amministratore delegato scandisce nuove regole di pianificazione finanziaria e diversifica il prodotto tradizionale, cioè gioielli e orologi, anche per fasce di prezzo, inserendo pelletteria, cravatte e foulard, profumi e creme («Nei primi anni '90 – ha ammesso – ci siamo ispirati alla strategia di Cartier»). Nel '95 arriva la quotazione in Borsa e Trapani diventa un volto celebre nel mondo della finanza, grazie alle ottime performance che guidano il titolo verso il paniere delle blue chips. Spinoso il rapporto con gli analisti finanziari, soprattutto nei momenti di difficoltà causati dalla guerra del Golfo, dagli attacchi alle Torri gemelle e dalla ben più recente crisi economico-finanziaria internazionale provocata dal crack Lehman.
Nel 2000 il gruppo acquisisce il 100% di Gerald Genta e Daniel Roth (successivamente incorporati nella Bulgari per innalzare la gamma degli orologi di lusso) e della Manufacture de Haute Horlogerie, mentre l'anno successivo la gamma si amplia con i Bulgari hotels & resorts: dopo Milano e Bali, l'anno prossimo toccherà a Londra, «un investimento in comunicazione nella capitale del mondo». Intanto, nel 2006, viene sfondato il muro del miliardo di fatturato, intorno al quale ruota la dimensione aziendale del 2010. E l'azienda, per celebrare i 125 anni, si tuffa in una pluriennale raccolta fondi a favore di Save the Children che ha fruttato 6 milioni nel 2009 (e altrettanti nel 2010-11).
«Nei primi cinque anni da ceo non ho praticamente mai dormito», ha raccontato Trapani. Forse anche nei prossimi cinque. Intanto giovedì festeggerà i 54 anni. Chissà se monsieur Arnault gli ha inviato un Dom Perignon Vintage. Anche quello, come Bulgari, di sua proprietà.
paola.bottelli@ilsole24ore.com
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