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Questo articolo è stato pubblicato il 09 marzo 2011 alle ore 06:39.

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Giorgio NapolitanoGiorgio Napolitano

La riforma «epocale» della giustizia viene data da giorni per bell'e fatta, pronta per il Consiglio dei ministri di domattina, eppure solo oggi pomeriggio il guardasigilli Angelino Alfano salirà al Quirinale per illustrare a Giorgio Napolitano il ddl destinato a cambiare i connotati alla magistratura, in particolare ai pm, futuri «avvocati dell'accusa» o della polizia, con un Csm distinto da quello dei giudici, e con regole stabilite dalla maggioranza parlamentare sulle priorità da seguire nell'esercizio dell'azione penale.

Ad ascoltarlo, però, Alfano potrebbe non trovare il Capo dello Stato ma il segretario generale della Presidenza della Repubblica Donato Marra. Dal Quirinale, infatti, trapela una certa «irritazione» per la scelta del governo di portare la riforma «epocale» della giustizia all'attenzione del presidente a poche ore al Consiglio dei ministri, quasi si trattasse di un passaggio «puramente formale» o «di cortesia» (così lo definivano ieri alcuni belusconiani) e non di un atto dovuto in base a una consolidata prassi istituzionale, visto che il capo dello Stato è il garante della Costituzione.
La richiesta d'incontro era attesa da giorni e non poteva essere né rinviata né tanto meno rifiutata; ma da qui a considerare l'incontro una sorta di avallo istituzionale delle scelte del governo, ce ne corre. Alfano spiega di aver ritardato l'incontro per poter limare il testo su 2-3 punti chiave. «Vanno chiariti», confermava ieri sera Niccolò Ghedini, Ipad sottobraccio con i 13-14 articoli della riforma. «Sentiamo che cosa presentano», ha detto Umberto Bossi, convinto che «comunque passerà». L'opposizione attende il testo, stufa com'è di annunci. Da Pierferdinando Casini una timida apertura al dialogo, «a patto che non ci siano leggi ad personam».

Nell'ultima bozza, alcuni punti cruciali avrebbero trovato già una risposta. Mentre i giudici sono «un ordine autonomo e indipendente da ogni potere e sono soggetti soltanto alla legge», i pm diventano un «Ufficio» organizzato secondo le norme dell'ordinamento giudiziario che «ne assicura l'indipendenza». Messa così, l'indipendenza è garantita all'Ufficio, più che ai singoli. Ed è il primo passo verso la trasformazione del pm in quell'«avvocato dell'accusa» voluto dal premier. Non a caso, il pm disporrebbe della polizia giudiziaria non più «direttamente» come adesso, ma «nelle forme stabilite dalla legge». Dunque, si muoverebbe su input della polizia. Ovvero, dell'esecutivo. Ancora: l'azione penale sarà esercitata «secondo modalità stabilite dalla legge» e, dunque, saranno le maggioranze politiche di turno a decidere quali reati perseguire con priorità. Di più: il Csm dei giudici è presieduto dal Capo dello Stato, quello dei pm dal Pg della Cassazione, eletto dal Parlamento. Il punto è ancora in forse, ma così com'è è un'ulteriore conferma che il Csm dei pm non sarà più "autogoverno". Tanto più con la nuova composizione: metà togati (sorteggiati tra gli eleggibili, per frenare il "correntismo") e metà laici (o addirittura, 1/3 e 2/3). Al Csm, poi, saranno vietati atti di indirizzo politico e pareri su ddl governativi. La Corte disciplinare sarà esterna e formata da membri nominati, per 1/3, dal Capo dello Stato, per 1/3 dal Parlamento e per 1/3 da giudici e pm, sempre previo sorteggio tra i togati.

L'articolo 111 verrà integrato con l'inappellabilità delle sentenze di assoluzione (salvo eccezioni previste dalla legge) mentre «contro le sentenze di condanna è sempre ammesso appello davanti al giudice di secondo grado». Il ministro della giustizia, oltre a funzioni ispettive, riferirà ogni anno alle camere sullo stato della giustizia, sull'esercizio dell'azione penale e sull'uso dei mezzi di indagine. In casi eccezionali, i Csm potranno «destinare i magistrati ad altre sedi». È prevista la nomina elettiva di magistrati onorari per svolgere funzioni di pm. Ancora in fase di limatura, invece, la responsabilità dei magistrati. Non c'è, ad ora, una norma transitoria, per cui alcuni principi si applicherebbero subito ai processi in corso. Fin qui la riforma costituzionale. Ma già ieri sera Ghedini correva a una riunione sul «dopo riforma». Oggi, invece, il «conflitto» Pdl contro le toghe di Milano sul caso Ruby subirà un rinvio alla prossima settimana.

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