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Questo articolo è stato pubblicato il 11 marzo 2011 alle ore 07:44.

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Berlusconi: l'aspettavo dal '94Berlusconi: l'aspettavo dal '94

«Ora il pm, per parlare con il giudice, dovrà fissare l'appuntamento, bussare con il cappello in mano e possibilmente dargli del lei». Eccolo il cuore della «riforma epocale» della giustizia varata ieri dal governo all'unanimità e con tanto di applauso al ministro della Giustizia Angelino Alfano. «Un testo completo, organico, chiaro, convincente» spiega il premier ai giornalisti, seduto accanto al guardasigilli, che gli fa eco a più riprese: «Accusa e difesa sono uguali e sopra c'è il giudice, non più collega del pm. E questa è una garanzia per il cittadino». «Finora la bilancia era sbilanciata a favore dei magistrati perché su un piatto c'erano pm e giudici. Ora il giudice è in alto, al centro, equidistante e finalmente i piatti sono allineati su uno stesso piano», aggiunge il guardasigilli, mentre Silvio Berlusconi mostra a cronisti, fotografi, tv il disegnino della bilancia della giustizia, prima e dopo la riforma. Una rivoluzione. Se fosse stata fatta prima, vent'anni fa, «probabilmente non ci sarebbe stata l'invasione della magistratura nella politica», cominciata con Mani pulite, osserva il premier, dopo aver assicurato che ci sarà il massimo di dialogo e di ascolto, e quindi di apertura a modifiche. «La nostra proposta non è il quinto vangelo», conferma Alfano.

Il momento tanto atteso, dunque, è arrivato. La «mission» politica di Forza Italia e poi del Pdl è conclusa, sostengono all'unisono il premier e il suo ministro. Diciotto articoli e 11 leggi di attuazione «già pronte», spiega Berlusconi, che saranno presentate in parlamento in rapida successione, per dare subito corpo ai nuovi principi costituzionali. A chi gli fa notare la contraddizione tra la disponibilità al dialogo, e quindi anche a modifiche, e la presentazione contestuale di leggi di attuazione del testo del governo, Alfano risponde che è una solo una questione di trasparenza, che i ddl in realtà non sono stati ancora presentati ma che servono «per portarci avanti» perché «sarebbe sbagliato attendere». E sfida l'Anm a non mettersi di traverso, convinto com'è che si tratti di norme «equilibrate». Ma i magistrati, letto l'articolato e l'elenco delle leggi di attuazione, non la vedono così: «La riforma mina l'autonomia e l'indipendenza della magistratura e altera sensibilmente il corretto equilibrio tra i poteri dello Stato» scrivono il presidente dell'Anm Luca Palamara e il segretario Giuseppe Cascini. Una riforma «in controtendenza rispetto all'Europa» che si muove nella direzione di rafforzare l'indipendenza dei magistrati e dei pm. «In sostanza si vuol poter telefonare al procuratore della Repubblica e dirgli quello che deve fare» semplifica Cascini, senza escludere forme di protesta estrema come lo sciopero. Persino «uno sciopero prolungato». Il parlamentino delle toghe è già convocato per il 19 marzo.

L'Anm preannuncia che spiegherà ai cittadini i «rischi» che corrono con questa riforma. Ma anche il governo ha in mente di rivolgersi ai cittadini, oltre che agli stessi operatori (magistrati e avvocati), per spiegare, invece, le buone ragioni della riforma. Che ha davanti un iter lungo (quattro letture almeno) e se non sarà approvata con la maggioranza qualificata dovrà affrontare il referendum popolare. Alfano è certo che il sì del parlamento arriverà prima della fine della legislatura e si augura che l'eventuale referendum venga abbinato alle elezioni politiche. E cmunque preannuncia che la giustizia «sarà oggetto della prossima campagna elettorale».

Il premier ci tiene a dire che la riforma c'entra «assolutamente zero» con il processo-Ruby in cui è accusato di concussione e prostituzione minorile e ne approfitta per far sapere che, avendo «finalmente superato lo sbarramento dei miei avvocati, mi prenderò la soddisfazione di essere presente ai processi». Insomma, il processo breve non serve, «non è la priorità del governo, in questo momento», aggiunge Alfano.

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