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Questo articolo è stato pubblicato il 10 marzo 2011 alle ore 06:40.

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Due certezze in un colpo solo: la prima è che la Lombardia è stata colonizzata dalla 'ndrangheta, che in questa regione cerca di essere sempre più indipendente dalla casa madre. La seconda è il processo di trasformazione che ha compiuto la 'ndrangheta calabrese, ormai organizzazione di tipo mafioso unitaria, con un organo di vertice che ne governa gli assetti, assumendo o ratificando le decisioni più importanti.

La Procura nazionale antimafia, nella relazione di fine 2010, presentata due giorni fa dalla Commissione parlamentare antimafia, ha toccato i temi relativi alla penetrazione delle mafie in ogni regione ma l'avvicinarsi di Expo 2015, i cui lavori potrebbero iniziare nell'estate di quest'anno, non poteva non accendere i riflettori su Milano e la Lombardia.
Ciò che colpisce, infatti, è stata la rapida mutazione genetica degli affiliati, avviata nel 2000, che ha portato all'abbandono delle tradizionali manifestazioni 'ndranghetistiche (omicidi, sequestri di persona, grandi traffici di droga) a favore di forme di controllo di settori economici (movimento terra, finanziamenti a soggetti in difficoltà) e di infiltrazioni nelle istituzioni pubbliche, per garantirsi future commesse di lavoro.
La Direzione nazionale antimafia, per la Lombardia, parla senza mezzi termini di intere zone ormai sottoposte al controllo delle cosche e questo, scrive il sostituto procuratore Anna Canepa «suscita particolare allarme specie se si considera che il territorio in questione sarà interessato dalle grandi opere che si eseguiranno in funzione dell'Expo 2015». Un male profondo che la Dna legge anche alla luce dalla crisi economica che vede «l'occupazione criminosa di interi settori caratterizzati da difficoltà finanziarie».

L'obiettivo sensibile sembra essere sempre lo stesso: i lavori e le opere pubbliche. Per questo l'allarme suona alto anche per l'Abruzzo, sconvolto dal terremoto del 6 aprile 2009. Ancora una volta a farla da padrona è la 'ndrangheta e i suoi «inquietanti interessi», come scrive testualmente il sostituto procuratore Olga Capasso. A fare da cerniera tra le famiglie di 'ndrangheta e gli appalti della ricostruzione è, secondo le prime indagini, un "colletto bianco", un commercialista, prestanome di una famiglia calabrese. Sono due le società utilizzate dalla cosca, secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, per infiltrarsi negli appalti tramite una ditta dell'Aquila che faceva, inconsapevolmente, da sponda. La ricostruzione dell'Aquila, però, fa gola anche a Cosa Nostra e Casalesi, in una sorta di "federalismo criminale" che premia tutti i clan. Finora sono state infatti diverse le imprese, legate alla mafia siciliana o a quella campana, escluse dai lavori.

Il Sud resta comunque il "motore" di ogni affare illegale. Mentre in Sicilia Cosa nostra vive una fase di transizione non soltanto sotto il profilo della scelta di una nuova leadership ma anche sotto il profilo della ricerca di nuovi schemi organizzativi e di nuove strategie operative e in Campania la camorra, pur parcellizzandosi, continua a mantenere intatta la propria forza, in Calabria la trasformazione della 'ndrangheta - che fino a fine 2009 era ancora oggetto di analisi - sembra essersi compiuta. L'unitarietà della 'ndrangheta emerge anche dalle ultime inchieste della magistratura reggina. «Non è più dunque - scrivono i sostituti procuratori Roberto Pennisi e Carlo Caponcello - semplicemente un insieme di cosche, famiglie o 'ndrine, nel loro complesso scoordinate e scollegate tra di loro, salvo alcuni patti federativi di tipo localistico-territoriale, certificati da incontri, più o meno casuali ed episodici, dei rispettivi componenti di vertice». Un fenomeno ancora più allarmante perché, scrivono i due magistrati, l'evoluzione della 'ndrangheta non è stata compresa né da pezzi delle istituzioni né dalla politica.

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