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Questo articolo è stato pubblicato il 11 marzo 2011 alle ore 13:33.

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Ancora una volta mentre il Partito Democratico riunisce tutti gli amministratori e i candidati con l'obiettivo di mostrare di essere pronto a dare "una spallata" al governo nelle elezioni amministrative di maggio (all'assemblea del Marriott di Milano venerdì ha parlato il segretario Bersani, si legga altro articolo), le dichiarazioni difformi e critiche diventano la notizia. Prima Renzi e, poi Chiamparino, hanno messo, infatti, il dito nella piaga. Il sindaco uscente di Torino ha dichiarato nel backstage di una trasmissione radiofonica "sono in un periodo di pessimismo, quindi vi rispondo negativamente: il Pd non ha futuro". La precisazione successiva "il Pd così com'è rischia di non avere futuro" non ha sortito l'effetto voluto: i titoli ormai erano sul primo lancio.

Bersani agli amministratori del Pd: siete voi il futuro del partito. Ci sono tutti, tranne Chiamparino (di Sara Bianchi)

Chiamparino: il Pd rischia di non avere futuro (di Sara Bianchi)

Per capire come mai il Pd non riesca ad approfittare delle difficoltà del premier dovute alle vicende giudiziarie, alle divisioni all'interno della coalizione e ad una situazione economica che non migliora, bisogna fare un passo indietro. Per una comunicazione politica efficace, in prospettiva di una campagna elettorale, servono alcuni pilastri: un'offerta solida di contenuti e valori, una coalizione affidabile e coesa, una leadership riconosciuta e una grande capacità operativa.

Bersani ha ottenuto risultati soprattutto su quest'ultimo punto e le varie campagne di mobilitazione (dal porta a porta alla raccolta delle firme) sono servite a testare la capacità di mobilitazione del partito a livello locale. Su tutti gli altri punti il Pd è piuttosto carente: non riesce a darsi un profilo d'identità definito e a trovare un'idea centrale che lo caratterizzi; abbandonata la vocazione maggioritaria oscilla tra la formazione di un nuovo Ulivo e una grande alleanza che metta assieme tutti i partiti che non stanno con Berlusconi (la stessa alleanza con il Terzo Polo non si capisce se comprenderebbe anche le formazioni politiche guidate da Vendola e Di Pietro).

Il tema della leadership è il più spinoso: la maggior parte dei cittadini identifica ormai le formazioni politiche nella figura del leader che incarna la proposta politica. La personalizzazione della politica ha trasformato il candidato in una componente essenziale della campagna e del processo decisionale da parte degli elettori. Non voler affrontare questa questione è come rinunciare all'uso della televisione quando i dati del Censis hanno dimostrato come telegiornali e programmi televisione siano lo strumento principale di informazione politica per il 70% degli italiani (e nel caso di molti over 65 anche l'unico). L'assenza di un leader definito e riconosciuto rende evanescente il progetto di alternativa all'attuale coalizione di governo. In Inghilterra non ci sarebbero stati il nuovo Labour senza Blair e nemmeno il nuovo partito Conservatore senza Cameron.

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