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Questo articolo è stato pubblicato il 14 marzo 2011 alle ore 09:14.

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È un compito ingrato quello di quantificare i danni dei disastri naturali. C'è, ovviamente, la contabilità delle vittime. Il "costo umano" delle tragedie offre sempre la dimensione più spietata delle catastrofi. I territori e l'ambiente, poi, ne vengono spesso segnati in modo irreversibile e, qui, i costi diventano talvolta non calcolabili. Ma c'è anche una contabilità economica con cui confrontarsi: a ogni distruzione corrisponde sempre, poi, una ricostruzione. A questa regola non sfugge ora il Giappone, dopo il terremoto di 8,9 gradi Richter che venerdì alle 14,46 (le 6,46 in Italia) ha colpito la parte nord-orientale della più grande isola del paese (Honshu, circa a 380 chilometri da Tokyo), seguito da uno tsunami nell'area di Sendai, vicina all'epicentro.

Poi altre scosse, in zone completamente diverse, violentissime, seppure mai dell'intensità della prima, la più violenta registrata in Giappone e la quinta più forte al mondo (da quando esistono le misurazioni).

«Una valutazione a caldo - sottolinea Giuliano Noci, vice direttore del Mip Politecnico di Milano - induce a pensare che le ripercussioni maggiori saranno legate ai danni alle infrastrutture. Il Giappone è infatti un'economia dove la mobilità è superiore alla media degli altri paesi sviluppati. I lavoratori giapponesi si spostano molto per lavoro e ciò richiederà grandi investimenti». Conseguenze pesanti anche per il settore energetico. «Le centrali - prosegue Noci - sono state messe in sicurezza ma, certamente, non potranno produrre». Inoltre, andranno valutati i danni agli impianti nuclari: possibili problemi sono stati segnalati per le due centrali di Fukushima.

Da un punto di vista economico, però, il fatto che l'epicentro e le zone più colpite siano aree con un'incidenza limitata sul Pil del paese, circa il 2%, renderà - secondo Noci - l'impatto minore. Prematura qualsiasi stima. Il terremoto di Kobe, nel 1995, causò danni per circa 25 miliardi di dollari. E, come capita spesso in queste tragedie, si trasformò poi in un volàno per la crescita, specie per alcuni settori (l'edilizia, in particolare). Ora la situazione è diversa.
«Questa tragedia - aggiunge Noci - si inserisce in un'economia che dimostra segni di grande debolezza a causa del forte indebitamento pubblico. In più i fondi disponibili per queste calamità, nell'anno fiscale che si chiude a fine marzo, sono molto ridotti: 2,5 miliardi di dollari. Il governo dovrà quindi intervenire in modo sostanziale e questo, inevitabilmente, andrà a detrimento di altri settori economici».

A livello di sistema-paese, gli effetti dovrebbero essere limitati. «E ciò perché - conclude Noci - le aree produttive del Giappone non sono state compromesse: la catena di fornitura non sarà minimamente toccata dalla catastrofe».

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