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Questo articolo è stato pubblicato il 15 marzo 2011 alle ore 06:36.

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Per gli "anti" nessun problema: dal disastro giapponese arrivano nuove munizioni e linfa vitale per il referendum già lanciato, che si terrà tra la primavera e l'estate.

Anche perché non mancano i "pro" che tentennano. Barra ferma – giurano i ministri dello Sviluppo, Paolo Romani e dell'Ambiente Stefania Prestigiacomo – sull'obiettivo di avviare entro la fine naturale della legislatura (2013) la costruzione della prima centrale atomica del programma che dovrà "riequilibrare" entro i prossimi 20 anni un'Italia che ora viaggia praticamente a tutto gas (inteso come metano) verso un mix più equilibrato: 25% nucleare, 25% rinnovabili (come del resto impone la Ue) limitando l'uso degli idrocarburi alla metà della produzione elettrica.

«La linea non cambia» ha detto la Prestigiacomo a Bruxelles in occasione del Consiglio Ue dell'Ambiente, semi-monopolizzato dal dramma giapponese. «Nessuna sottovalutazione, ma non si deve speculare: non era ancora finito l'effetto dello tsunami che già in Italia gli antinuclearisti sfruttavano la catastrofe a fini domestici» accusa la Prestigiacomo. Garanzie – ribadisce - non mancheranno: nessuna centrale in zone sismiche e apparati dell'ultimissima generazione, ai vertici nella sicurezza attiva e passiva.

Ma i dubbi si insinuano anche tra i "pro". Persino Giorgio La Malfa, da sempre paladino dei nuclearisti in politica, chiede ora «una pausa di riflessione sino a quando non sia fatta assoluta chiarezza sui rischi». E il pidiellino Fabio Rampelli (a cui, per la verità, l'atomo non è mai piaciuto) chiede persino che per il referendum il partito del premier dia «libertà di scelta». Il problema di smobilitare la macchina del ritorno all'atomo del resto non c'è. L'Enel ha messo su un'alleanza con Edf con pochi uomini e ancora pochi uffici. Terna, che deve adeguare la rete elettrica, ha appena sfornato un piano pluriennale che ancora non ne tiene conto. L'agenzia per la sicurezza doveva essere operativa da un anno. Solo ora il vertice è stato nominato, attorno al presidente Umberto Veronesi: «ancora non abbiamo una sede, e intanto noi cinque ci riuniamo al bar» fa sapere. Come a dire: in qualche caso il ritardo aiuta.

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