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Questo articolo è stato pubblicato il 15 marzo 2011 alle ore 06:38.

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Tubi, liquidi e pompe. L'ingegnere William Phillips immaginava l'economia proprio così: lo scopritore della famigerata curva - che lega inflazione e disoccupazione - aveva persino costruito un modello funzionante, il Moniac, o Financephalographe. Un computer ad acqua, insomma.
Robert Lucas, il premio Nobel, è andato anche oltre: una teoria, ha detto, è «la costruzione di un mondo meccanico e artificiale popolato da quei robot che interagiscono studiati tipicamente dall'economia».
È proprio un mondo meccanico quello che gli economisti immaginano. Indipendentemente dall'approccio su cui si basano sia esso l'ipotesi delle aspettative razionali, o quelle dell'economia behaviouristica, comportamentale. A questo mondo dicono no - e in modo "scientificamente corretto" - Roman Frydman e Michael D. Goldberg nel loro Beyond Mechanical Markets, appena pubblicato dalla Princeton University Press, e preceduto per i colleghi economisti da Imperfect Knolewdge Economics: exchange rate and risk, uscito quattro anni fa.
L'idea di partenza è semplice, e non del tutto nuova. È il recupero di una teoria di Keynes («ma non "keynesiana"», precisa Frydman): quella che pensa l'economia dominata da un'incertezza non riducibile al calcolo della probabilità, che fu però respinta dagli studiosi americani perché, racconta il Nobel Edmund Phelps, «non piaceva», non era trattabile matematicamente. È un concetto diverso dall'ormai famoso "cigno nero" di Nassim Nicholas Taleb, evento inatteso solo perché molto raro, o la simile "incertezza knightiana", da Frank Hyneman Knight, a volte evocata dai banchieri centrali. È qualcosa di molto più radicale, che scuote alle fondamenta - soprattutto ora, dopo la crisi - i modelli matematici in circolazione compresi quelli spesso evocati, nelle loro "proiezioni", dai banchieri centrali o quelli usati dalle banche per valutare i rischi.
Oggi, aggiunge Frydman, «invece di un modello del mondo reale, i risultati del lavoro degli economisti sono modelli di un mondo immaginario di stasi, di omniscienza, di uniformità nel pensiero», spiega Frydman: un «mondo orwelliano» dove «non c'è spazio per nulla di nuovo». Al contrario, osservando la distanza tra la realtà e questi modelli considerati "razionali", a volte si immagina che le decisioni economiche, e gli investimenti finanziari, vengano presi un po' a casaccio, e che così si creino le "bolle".
Frydman e Goldberg non ci stanno. Non vogliono restare prigionieri di questi estremi, non vogliono concludere che i mercati veri sono totalmente inaffidabili, e neanche rinunciare alle formule. «Anche quelli della Imperfect Knowledge Economics (Ike) sono modelli matematici sui prezzi degli assets e sui rischi che possono essere confrontati con l'evidenza empirica», spiega Frydman.
Per mettere alla prova il loro approccio, i due economisti hanno scelto il mercato più difficile, quello delle valute. «Il metodo migliore per prevedere i cambi è tirare una monetina», disse qualche anno fa Alan Greenspan; e non era una boutade. I cronisti hanno però sempre notato che gli investitori seguono solo alcuni fondamentali alla volta - ora la crescita, ora i tassi, ora i conti con l'estero, per esempio - e per periodi limitati. L'approccio della "conoscenza imperfetta" giunge a conclusioni analoghe, ma scientificamente fondate: «Quello che abbiamo trovato è che i fondamentali sono importanti per i movimenti dei cambi, ma che i fattori rilevanti, e il loro impatto sulle valute, cambia nel tempo». Emerge così in qualche modo qualcosa che i modelli finora realizzati non avevano considerato: l'interpretazione della realtà da parte degli investitori.
È in questa scelta dei fondamentali, in un contesto di "conoscenza imperfetta", che entrano in gioco fattori diversi, mai però in azione da soli, che determinano l'andamento delle quotazioni. «Quando allocano le risorse i mercati non sono giardini dell'Eden che funzionano perfettamente, né pericolosi casinò, che funzionano arbitrariamente», spiega Frydman, aggiungendo: «Anche se i prezzi delle attività sono guidati soprattutto dai fondamentali, giocano un ruolo anche fattori psicologici e non-fondamentali, come le regole del trading tecnico».
Frydman e Goldberg chiamano così il loro approccio Ipotesi dei mercati contingenti: «I comportamenti finalizzati - spiegano - mostrano regolarità contingenti, dipendenti dal contesto e diventano o cessano di essere rilevanti in modi e tempi che non possono essere definiti in anticipo». Per periodi limitati, in contesti definiti, si possono però effettuare analisi rigorose, e verificabili empiricamente. Quello che è e resta complicato è capire quando e come cambia l'interpretazione di fondo degli operatori; ma pensare di prevedere tutto è solo un'illusione.
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