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Questo articolo è stato pubblicato il 17 marzo 2011 alle ore 08:11.

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Flamanville tira diritto sull'atomo. Nella foto la centrale di FlamanvilleFlamanville tira diritto sull'atomo. Nella foto la centrale di Flamanville

FLAMANVILLE (Francia). Sylvain Hurel, animatore di radio Flam, sta per andare in onda. «Oggi ricorderò dove si può donare il sangue. Passerò un po' di bella musica. E parlerò del Giappone, come non farlo». Sì, a pochi chilometri da una delle più grandi centrali nucleari di Francia. I suoi ascoltatori, però, sempre vogliosi di intervenire in diretta, non stanno chiamando per discutere di quella tragedia. «Dovremmo essere preoccupati? Ma no, qui mica è una zona sismica», aggiunge Sylvain. Dal look potrebbe far pensare a un militante antinucleare, «ma invece sono favorevole. Mi fido di Edf».

È il colosso pubblico che gestisce i 58 reattori francesi (nel settore il paese è secondo solo dopo gli Usa a livello mondiale, terzo il Giappone). È lo stesso gruppo che ha costruito i due reattori di Flamanville, il paesino di Sylvain, in funzione dalla metà degli anni Ottanta. E ora, con una joint venture della quale Enel detiene il 12,5%, Edf sta tirando su un Epr, che utilizza tecnologia ad acqua pressurizzata. Sono i reattori di terza generazione: la tecnologia è fornita da Areva, altro colosso pubblico, che a una ventina di chilometri da qui, alla Hague, ancora nel Nord della penisola del Cotentin, nella Bassa Normandia, gestisce un impianto di smaltimento di residui atomici. Fra uno stabilimento e l'altro, spiagge dalla sabbia chiara e scogli dalle tonalità rosa.

Flamanville è uno splendido paesino dalle case di pietra e dagli ordinati giardini d'ortensie. «La centrale manco si vede», precisa Sylvain. È rintanata alla base di una scogliera alta 60 metri. E da sopra, dal villaggio, si scorge solo una parte di una ciminiera: oggi, con la bruma, neppure quella. Se non fosse per le code di macchine che si dirigono verso l'impianto la mattina e ritornano a fine giornata, sembrerebbe non esistere. La centrale che non c'è.
Vi lavorano stabilmente 662 persone e altri 3mila sono i dipendenti di Areva alla Hague. Un'aristocrazia industriale in Francia, con stipendi alti e generose indennità. La zona, un tempo solo agricola, è così diventata prospera: una situazione diversa da quella di altre lande del Nord della Francia. Ora, poi, con la costruzione dell'Epr, c'è bisogno di più manodopera: per il cantiere arriveranno a quota 3.800 i lavoratori la prossima estate.

Provengono da tutta la Francia, ma perfino dalla Romania e dal Portogallo. «Anch'io non sono originaria di Flamanville – racconta Murielle Dussaux, nel suo panificio –. Sono arrivata nel 1980. Mio padre venne qui per lavorare nel nucleare, dal Nord-Pas de-Calais», ancora oggi una delle regioni più depresse della Francia settentrionale. Murielle guarda le immagini in arrivo dal Giappone nel retrobottega, «ma con i clienti non ne parlo. In ogni caso le centrali nucleari sono necessarie e quella di Flamanville è sicura». Pure la farmacista, Nathalie Capdecon, non ha dovuto rispondere a domande preoccupate degli abitanti. «L'anno scorso abbiamo distribuito per conto della prefettura le compresse di iodio. Sanno tutti come e quando vanno utilizzate». Le sirene per l'allarme sono collaudate in tutti i paesini il primo mercoledì di ogni mese. «Mi hanno telefonato solo le famiglie che hanno già prenotato una casa per la prossima estate, per fare un po' di mare da queste parti – aggiunge Nathalie –. Le ho rassicurate. Chiunque affitti qui deve consegnare all'inquilino le compresse di iodio».

Da queste parti niente sembra scalfire la fiducia della gente. Anche se, secondo Didier Anger, professore delle medie in pensione ed eurodeputato dei Verdi fino al 2004, dietro a quest'apparenza «ognuno oscilla tra la paura del nucleare e quella della disoccupazione». Insomma, tutti sanno che dell'atomo, bene o male, non possono fare a meno. E ne parlano poco. Secondo lui, «la centrale di Flamanville non è immune agli incidenti più imprevedibili, la caduta di un aereo, ad esempio. O un attentato. E poi sull'Epr esistono ancora tanti dubbi. Vogliono utilizzare combustibili più potenti e quindi più tossici. Non è chiaro. E intanto hanno iniziato a costruire». Il costo previsto è già lievitato da 3,3 miliardi di euro a cinque. I lavori dovrebbero finire nel 2014. Dal giardino di Didier, comunque, non si vede nulla. Sì, la centrale che non c'è.

Eccola, finalmente. I due reattori già operativi e l'Epr in costruzione. Un insieme gigantesco davanti al mare. «Una diga di quindici metri di altezza la protegge dalle onde più grandi», sottolinea Isabelle Jouette, responsabile della comunicazione del sito Edf. Ricorda che «gli abitanti della zona sono stati formati al nucleare fin dagli anni Settanta. Lo conoscono. Sanno gestire certe paure. E poi questi impianti possono resistere a terremoti fino a otto gradi della scala Richter, comunque mai registrati nell'area negli ultimi mille anni». La centrale, in ogni caso, c'è. Eccome.

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