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Questo articolo è stato pubblicato il 17 marzo 2011 alle ore 08:11.

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«Sull'atomo l'Italia seguirà la Ue». Nella foto il ministro dello Sviluppo Paolo Romani«Sull'atomo l'Italia seguirà la Ue». Nella foto il ministro dello Sviluppo Paolo Romani

ROMA. Avanti tutta – nei proclami ufficiali – sul nucleare italiano. Ma con un'exit strategy che lentamente, con prudenza, si fa largo. Il piano governativo per dotare l'Italia del 25% di energia atomica entro un paio di decenni rimane ufficialmente fermo, immutato: ieri la maggioranza ha spianato la strada al sì delle commissioni attività produttive e ambiente della Camera alla nuova versione del decreto legislativo sui criteri per individuare i siti delle centrali atomiche, che accoglie i rilevi della Corte costituzionale sul pieno coinvolgimento delle singole regioni, anche se conferma che il loro parere non sarà vincolante. «Mercoledì prossimo l'approvazione del consiglio dei ministri» annuncia il sottosegretario allo Sviluppo Stefano Saglia. Ma è proprio lui, in contemporanea, a disegnare l'eventuale sterzata.

Punto uno: in ogni caso – giura Saglia – mai si piazzerà una centrale «senza il pieno consenso delle popolazioni interessate» oltre che degli amministratori regionali. Che, praticamente tutti, compresi quelli del centro-destra, si sono detti indisponibili, ora a maggior ragione, a ospitare impianti nucleari. «Se ciò fosse confermato significherebbe che i governatori o non hanno approfondito la materia o non hanno il coraggio di affrontarla» puntualizza Saglia ribadendo le sue convinzioni nucleariste. Ma ecco, proprio ieri, una nuova delusione. Cosa voterà il sindaco pidiellino di Roma, Gianni Alemanno, al referendum antiatomo di giugno cavalcato dalle opposizioni? «Ci devo pensare» risponde Alemanno.

Punto due: la mappa dei siti – dice sempre Saglia – comunque «non arriverà quest'anno». Il che significa che la promessa del Governo di propiziare la "prima pietra" di almeno una centrale atomica italiana entro la fine naturale della legislatura (2013) non vale più. Rimane ferma, per ora, la data del 2020 per l'entrata in funzione del primo impianto. Dunque «abbiamo dieci anni per riflettere. Perché allora bloccare tutto adesso?» dice sempre Saglia. Proprio mentre un autorevole operatore energetico da sempre scettico sul nostro ritorno al nucleare, l'ad dell'Eni Paolo Scaroni, lancia un segnale incoraggiante: allarmismo «eccessivo» per i fatti giapponesi. Giusta una «riflessione» dei paesi che hanno vecchie centrali, ma l'Italia «al nuovo nucleare può guardare con fiducia» sostiene Scaroni in un'audizione alla Camera.

Punto tre: se l'Unione europea decidesse una forma di blocco del nucleare «l'Italia non si opporrebbe» anche se «certo non prenderemo unilateralmente una decisione simile» fa sapere Stefano Saglia in vista della riunione dei ministri dell'Energia convocata lunedì prossimo per proseguire l'esame della catastrofe giapponese e mettere a punto iniziative coordinate e comuni.
I nuclearisti oltranzisti si infastidiscono. Ammonisce Mauro Libè, deputato dell'Udc (partito nuclearista per eccellenza). «Sulla scelta nucleare si può essere d'accordo o meno, ma una cosa è certa: se la posizione del Governo è quella del sottosegretario Saglia è pura presa in giro degli italiani».

Cosa dicono, allora, i ministri dello Sviluppo Paolo Romani e dell'Ambiente Stefania Prestigiacomo? La linea ufficiale rimane quella della barra dritta sul nucleare (si veda Il Sole 24 Ore di ieri), ma la sterzata viene comunque presa in considerazione. «A Bruxelles approfondiremo i temi della sicurezza. Per l'Italia – puntualizza Romani – il problema sono le centrali vicine al confine». Un problema in ogni caso «internazionale, europeo». E intanto, in vista del referendum «vanno date date informazioni precise e rigorose alla pubblica opinione, che deve sapere esattamente cosa è successo in Giappone in modo che le decisioni non siano figlie della pancia o delle emozioni» dice Romani confermando di essere «un convinto nuclearista» e ribadendo che «in Giappone il problema non è stato il terremoto ma lo tsunami, un evento straordinariamente incredibile che sul continente europeo non ci sarebbe stato, e comunque non come in Giappone».

Identica la posizione espressa ieri da Stefania Prestigiacomo. Il tema della sicurezza nucleare «non è più regionale, nazionale, o dei singoli Stati» ma è una questione che «va discussa a livello europeo». E' dunque «sbagliato e irresponsabile – ribadisce Prestigiacomo – assumere decisioni sull'onda emozionale». E per questa ragione «faremo le scelte insieme all'Europa».

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