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Questo articolo è stato pubblicato il 17 marzo 2011 alle ore 06:36.

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TRINO VERCELLESE. Dal nostro inviato
«Il Po sta salendo, guardi. Bisogna dirlo, a quelli di Trino». Una mano a reggere l'ombrello, l'altra appoggiata alla ringhiera del ponte che da Crescentino va a Verrua Savoia e così separa le colline del Monferrato dalla Bassa Vercellese, ieri dall'alto dei suoi 78 anni il signor Giuseppe monitorava a suo modo l'effetto degli ultimi due giorni di pioggia ininterrotta: «Se va avanti così, a Trino ci scappa un'altra alluvione. E pensare che loro han già perso la centrale atomica…». Sì, perché da queste parti c'è ancora qualcuno che la chiama così la vecchia centrale Enrico Fermi: l'atomica. «Mio marito l'ha costruita, mio figlio ci ha lavorato per sei anni», racconta Silvana Risso, 76 anni, che dopo aver abitato per trent'anni a Trino vercellese si è trasferita «in città», vale a dire a Vercelli. Ha sentito del Giappone, signora? «Come no. A noi è andata bene, per tutti i vent'anni in cui ha lavorato la centrale di disastri non ne abbiamo avuti». In realtà qui nel 2000, con l'esondazione della Dora a pochi passi dalle piscine contaminate «si è rischiata la catastrofe planetaria», come disse a suo tempo Carlo Rubbia, ma nelle parole della signora Silvana è condensato quel che molti pensano in zona: «Qui il nucleare è sempre stato sinonimo di lavoro e sviluppo, perché dal dopoguerra ha rappresentato l'unica alternativa vera all'agricoltura», spiega Fausto Cognasso, ambientalista convinto e un passato da assessore a Trino. Non fa mistero di essere contrario all'atomo, ma sa anche che buona parte della sua gente la pensa diversamente: «La maggioranza dei vercellesi storicamente è stata sempre a favore del nucleare. Solo il disastro di Chernobyl, per qualche mese, è riuscito a far cambiare idea, tanto è vero che anche a Trino, nel 1987, hanno vinto i contrari». E adesso, con le immagini in arrivo da Fukushima? «Mah, non saprei. Sa, in questo momento qui c'è un gran bisogno di lavoro».
D'altronde in questo pezzo di Piemonte compreso tra il Po, Torino e le risaie, dove oggi è custodito il 70% dei rifiuti radioattivi presenti in Italia, bene o male tutti hanno avuto a che fare con il nucleare: la centrale, i servizi, le attività edili connesse, e poi – a una manciata di chilometri dalla Fermi – i progetti di ricerca dell'Eurex di Saluggia, realizzata a metà anni '60 per il riprocessamento dell'uranio impoverito. Fino alla metà degli anni '80 il Vercellese era una delle capitali italiane dell'atomo, ma poi – conclusa l'era del nucleare, spenta la centrale e riconvertita al biomedicale l'area di Saluggia – sul territorio sono rimaste le compensazioni. La prima tranche è arrivata nel 2007: quattro milioni all'amministrazione di Trino, 8mila abitanti e un bilancio che pareggia intorno ai cinque milioni, e 5,7 per Saluggia, che di abitanti ne ha poco più di 4mila e spese correnti per poco meno di tre milioni l'anno. Un'autentica manna, anche se per il comune di Trino i vincoli del patto di stabilità – ironia della sorte – finora hanno reso inutilizzabile buona parte del suo tesoretto.
Formalmente, per i sindaci – quasi tutti alla guida di giunte di centrodestra – vale lo stesso mantra: «Questo territorio al nucleare ha già dato abbastanza», come dichiara Marco Pasteris, primo cittadino a Saluggia. Però è sempre lui a ricordare che «grazie alle compensazioni siamo riusciti a mantenere Irpef e Ici ai minimi, ma anche a realizzare un impianto fotovoltaico. E non appena ci arriveranno le tranche 2008 e 2009, attualmente bloccate al Cipe, realizzeremo un'area naturale e una struttura ricettiva, per rendere più accogliente il nostro territorio». Un affare? «Non esageriamo, queste risorse ce le meritiamo», dice Pasteris. Che tuttavia, non si sbilancia su quello che voteranno i suoi concittadini al referendum del 15 giugno. «Se va in giro a chiedere alla gente che ne pensa, scoprirà che non sanno neanche che c'è da andare a votare», gli fa eco da Trino il sindaco Marco Felisati. Classe 1974, faccia da bravo ragazzo, dal suo ufficio dominato dal busto di Camillo Cavour, che qui a Trino fu consigliere comunale dal 1859 al 1861, racconta dei mitici anni '70, quando «in città, tra il nucleare, l'indotto Fiat e un fiorente commercio si aveva solo l'imbarazzo della scelta». Adesso tutto è cambiato, con le alluvioni del 1994 e del 2000 che hanno finito per dare il colpo di grazia a un territorio già provato dalla de-nuclearizzazione prima e dalla de-industrializzazione poi: «Abbiamo subìto una sorta di alluvione psicologica», dice Felisati. E il nucleare? «Se ne parla poco – osserva –. Certo, c'è un'agguerrita schiera di contrari che non manca di farsi sentire, ma in generale non credo che i trinesi siano schierati da una parte o dall'altra». Come a dire che, se un domani potesse arrivare una nuova «atomica» nella Bassa vercellese, non è detto che qui si assisterebbe a particolari levate di scudi: «Nel caso in cui ci venisse proposto – dice – chiederei ai miei cittadini di esprimersi, e se la maggioranza fosse favorevole non avrei motivo per oppormi».
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