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Questo articolo è stato pubblicato il 17 marzo 2011 alle ore 12:46.

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Velasco nuovo cittì dell'Iran: «In valigia libri sull'Islam, ma sogno sempre le Olimpiadi»Velasco nuovo cittì dell'Iran: «In valigia libri sull'Islam, ma sogno sempre le Olimpiadi»

Con l'Italia della pallavolo ha vinto tutto, negli Anni Novanta, quando sotto la sua guida (e quella del brasiliano Bebeto) gli azzurri diventarono la Squadra del Secolo, con l'unico grande rimpianto di non aver mai acciuffato un oro olimpico. Poi le panchine dell'Italia femminile, della Spagna, della Repubblica Ceca, e le incursioni nel mondo del calcio, collaborando con Lazio e Inter. Ma a Julio Velasco uomo e allenatore, si sa, le righe del campo sono sempre state strette.

E allora eccolo, a 59 anni, pronto a ripartire per l'avventura più sorprendente. Sarà proprio il tecnico italoargentino il prossimo ct dell'Iran. Viaggio e avventura affascinante nel cuore dell'antica Persia. A questo punto, per uno come Velasco, la pallavolo da lavoro diventa un pretesto.

«Chiaro che l'aspetto professionale e tecnico è stato decisivo per farmi accettare la proposta della federazione iraniana – ci racconta con voce calma e ferma, mentre è al volante di ritorno da una lezione al corso di direttore tecnico a Coverciano – ma non nascondo che sono molti gli interessi che mi spingono a Teheran».

Partiamo dal campo: che pallavolo troverà? L'Iran, già agli ultimi mondiali italiani, ha fatto soffrire parecchio proprio gli azzurri...
«Ci sono ottime strutture e, a livello giovanile e juniores, le nazionali iraniane hanno già ottenuto risultati significativi, c'è un campionato professionistico con 16 squadre, una A-2, e molti buoni giocatori che guadagnano anche bene dalla loro attività. Chiaro che la federazione ora vuole fare un salto di qualità. Obiettivi? Qualificazione olimpica e World League».

In Iran gioca anche l'azzurro Francesco Biribanti, in testa alla classifica con il Paykan. Ha chiesto già qualche consiglio?
«Non l'ho ancora sentito, ma credo di incontrarlo in occasione dei playoff scudetto».

E dire che si era parlato, nel frattempo, anche di un suo possibile ritorno con la nazionale italiana, magari con un ruolo tecnico-dirigenziale...
«Tutto vero, ma niente di concreto. I fatti sono andati così: avevo ricevuto una proposta informale per un ruolo di direttore tecnico, ma da una persona non qualificata a fare proposte ufficiali. Allora, ringraziando, ho detto che se ne sarebbe potuto parlare, a patto che la proposta fosse stata fatta propria dai vertici federali. Così non è stato, e allora meglio accettare la ben più concreta proposta iraniana».

Esclude anche un ritorno nel mondo del calcio?
«Perché no? In fondo mi ha chiamato proprio mentre sto tornando da Coverciano (risata, ndr). Mai dire mai: quella calcistica per me è stata una parentesi molto interessante, e se dovessero crearsi le condizioni giuste in futuro, sono pronto a ripeterla».

Facciamo fatica a immaginarci un Velasco confinato, a Teheran , fra campo e palestra. Obiettivi extrasportivi?
«Conoscere l'antica Persia, e i giovani di questo paese. Ho già avuto la possibilità, in carriera, di lavorare e vivere con i giovani di un paese ex comunista, al Repubblica Ceca, e con i giovani italiani, argentini , spagnoli, che pure si assomigliano molto. Qui mi confronterò con un mondo completamente diverso con quello occidentale».

Prime sorprese?
«Già una. L'interpretazione del mese di Ramadan per gli sportivi. Venivo dall'esperienza fatta a Montichiari con un mio giocatore egiziano, molto rigoroso nel vivere i precetti islamici, e che mangiava e beveva solo di notte, in ossequio a queste regole. Ho scoperto invece che il Corano permette di assolvere questi precetti anche in modo estensivo questi precetti, ad esempio attraverso opere di solidarietà. Interessante, no?».

Sicuro. Immagino una valigia piena più di libri che di vestiti. Letture consigliate?
«Sono partito dall'Islam, dall'approfondimento dell'aspetto religioso. E in questo percorso sto trovando molti spunti dalle riflessioni del rabbino Toaff sul rapporto con l'ebraismo e del cardinal Martini sul legame col cattolicesimo».

L'Iran è considerato sul piano internazionale come uno dei maggiori finanziatori del terrorismo, con un regime nemico di Israele e che soffoca le opposizioni democratiche e discrimina donne e omosessuali. Nessun disagio?
«Sono ospite, e come tale voglio capire, approfondire, e non mi sento nella condizione di esprimere giudizi. Potrei farlo da argentino sul mio paese, o da italiano sulle nostre vicende politiche, ma non da ospite in un paese che devo ancora conoscere. E la nazionale rappresenta tutto il paese, la federazione, non il governo».

Una curiosità: come è riuscito a non rimanere schiavo dell'ossessione olimpica? In fondo, sfiorare l'oro più prestigioso senza agguantarlo, sarebbe potuto diventare una splendida maledizione...
«Penso sia una questione di filosofia di vita. Dipende dal tipo di vita che vuoi, se preferisci soffermarti su quello che hai, o rimpiangere quello che invece ti manca. Da qui dipende, credo, il tuo grado di felicità, di soddisfazione. In carriera non avrei mai pensato di vincere un mondiale: ne ho vinti addirittura due. E un argento olimpico è una vittoria che rimane nella storia, non crede».

Oggi la nostra Italia compie 150 anni. Un augurio?
«La pace, la giustizia sociale. E soprattutto l'Unità. Ci sono tante cose che ci dividono, ma molte di più quelle che ci uniscono. L'Unità è il valore fondante di oggi e di domani».

Buon viaggio, profeta del volley. E che la Via della Seta ti sia propizia.

Dario Ricci racconta storie di sport nel programma "A bordo campo" in onda su Radio 24 alle 6,30 del sabato e alle 14,30 della domenica

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