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Questo articolo è stato pubblicato il 19 marzo 2011 alle ore 09:24.
ROMA. L'Italia chiude l'ambasciata a Tripoli e si prepara all'intervento in Libia, senza riserve. Dopo la risoluzione dell'Onu il governo ha dato la disponibilità all'utilizzo delle basi aeree, ma l'apporto sarà paritario rispetto agli altri paesi che hanno promosso la risoluzione. Le linee di azione sono state decise ieri in un consiglio dei ministri straordinario – preceduto da un vertice interministeriale – presieduto da Silvio Berlusconi, in cui si è rotto ogni residuo indugio scegliendo l'opzione di intervento "a pieno titolo".
«Il governo ha ritenuto indispensabile autorizzare, come gli altri paesi disponibili, ogni opportuna iniziativa per garantire sostegno umanitario alle popolazioni civili della Libia, assicurando un ruolo attivo dell'Italia per la protezione dei civili e delle aree sotto pericolo di attacco» ha reso noto Palazzo Chigi. Poi nel pomeriggio è arrivato il via libera bipartisan delle commissioni esteri e difesa del Senato che hanno approvato la risoluzione che autorizza l'esecutivo ad intervenire nell'ambito della risoluzione Onu. L'Idv ha presentato una propria risoluzione che è stata respinta. Al momento del voto delle commissioni si sono registrate le assenze dei senatori della Lega – Umberto Bossi ieri ha detto che il Carroccio si sente vicino alla Germania, che all'Onu si è astenuta – e dell'Idv.
Al termine del consiglio è stato reso noto che «Berlusconi ha riferito che ogni decisione viene adottata in accordo con il presidente della Repubblica e che il Parlamento sarà costantemente informato ai fini delle decisioni che intenderà adottare». Il governo tornerà a riunirsi lunedì mattina, dopo il summit straordinario convocato a Parigi tra Ue, Lega araba e Unione africana cui parteciperà oggi Berlusconi, a cui sarà presente anche il segretario generale Onu, Ban Ki-Moon.
«Nelle prossime ore dovremo prendere decisioni difficili, impegnative, rispetto a ciò che sta accadendo in Libia», ha detto il presidente della repubblica Giorgio Napolitano nel discorso a Torino, sottolineando l'alta soglia di attenzione del Quirinale: non si può «rimanere indifferenti alla sistematica violazione dei diritti umani» ha aggiunto il capo dello stato.
Ieri su tutto lo scenario hanno riferito i ministri della difesa, Ignazio La Russa e quello degli esteri, Franco Frattini. «Secondo me il cessate il fuoco non reggerà» e in Libia «ci saranno degli attacchi» ha detto Frattini in audizione presso le commissioni riunite esteri e difesa di Camera e Senato. Senza l'Italia – ha aggiunto il titolare della Farnesina – la risoluzione Onu contro la Libia non si può applicare. L'Italia «parteciperà attivamente alla risoluzione dell'Onu, l'indicazione di attiva partecipazione comprende l'uso delle basi militari, e non solo». La determinazione italiana, ha aggiunto il responsabile della Farnesina, che ha smorzato l'astensione della Lega («non intacca coesione maggioranza»), ha le proprie radici nella necessità di «marcare la condivisione sostanziale» alla risoluzione, in quella di «essere ben presenti in un terreno che ci riguarda da vicino» e nella necessità di marcare «l'assoluta fedeltà dell'Italia alla prospettiva atlantica, dell'Onu e della Ue».
In commissione è intervenuto anche il presidente del Copasir, Massimo D'Alema, secondo cui «dobbiamo chiedere che si attivi un dispositivo di protezione della Nato, una rete di sicurezza indispensabile, perché va bene la coalizione dei "willings", ma la Nato è la Nato» e noi «siamo una delle aree immediatamente esposte ad azioni ritorsive». Dal Pd è arrivata la disponibilità a valutare le iniziative al vaglio. «Nei limiti della risoluzione dell'Onu siamo pronti a sostenere il ruolo attivo dell'Italia», ha detto il segretario Pierluigi Bersani, «chiediamo soltanto che in queste ore non ci siano dichiarazioni estemporanee e contraddittorie».
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