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Questo articolo è stato pubblicato il 19 marzo 2011 alle ore 09:23.

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Una combinazione di sfortuna (tantissima) e di sviste. Queste sono le cose che appaiono a una lettura non tecnica dell'incidente alla centrale giapponese di Fukushima. A cominciare dalla difesa ostinata della produzione futura della centrale non appena si sono manifestati i segni di impazienza del reattore numero uno.
Sulla sfortuna, il paese ha subìto uno dei terremoti più violenti della storia. Ed è stato spazzato dall'onda del maremoto.

Generatori sott'acqua
Per le sviste, la più evidente è avere progettato una centrale i cui gruppi elettrogeni stati esposti alla violenza dell'acqua. La diga in mare era alta sei metri, e l'onda del maremoto otto metri; i generatori erano disposti davanti alla riva e non in una parte protetta. Anche i trasformatori e le linee d'emergenza per dare corrente alla centrale sono stati allagati dall'onda e sono andati in corto circuito.

La marmitta catalitica
È risaputo che quando un reattore si surriscalda, dentro si forma idrogeno. Che può scoppiare. Accadde a Three Mile Island (Pennsylvania 1979) e a Chernobyl (Urss, Ucraina, 1986). Dall'esperienza di Three Mile Island, tutte le centrali sono dotate di un ricombinatore di idrogeno, una specie di marmitta catalitica. È un "barilotto" pieno di spugna di palladio, un ottimo catalizzatore: non a caso si usa anche nella marmitta dell'auto.
Quando si sfiata vapore da un reattore, questa marmitta catalitica piena di palladio (ricorda la paglietta di ferro che si usa per scrostare le pentole) ricombina idrogeno e ossigeno facendoli tornare acqua. Ma i ricombinatori non hanno funzionato: forse progettati male.
Ogni volta che i tecnici della Tepco hanno provato ad alleggerire la pressione nei reattori, lo sfiato ha prodotto nella centrale scoppi che hanno squassato gli impianti e incrinato le strutture. Per questo motivo la centrale da giorni cerca di non spurgare più la pressione dai reattori in crisi.

Salvare la centrale
Forse l'errore più grave è accaduto quando, dopo l'allagamento per il maremoto, i generatori si sono fermati e il nocciolo dei tre reattori ha cominciato a friggere per il calore. Alla ripresa dell'alimentazione, si sarebbe potuto intervenire in due modi.

Il primo sarebbe stato riaprire il flusso di acqua verso la turbina, e mandarla al raffreddamento nel condensatore che riporta allo stato liquido il vapore. Una scelta difficile, da prendere subito. Una scelta strategica. Ciò avrebbe compromesso il futuro funzionamento produttivo della centrale. Avrebbe costretto al suo pensionamento. Ma avrebbe raffreddato i reattori, evitando la fusione delle barre e la distruzione di parte dell'impianto.

Il secondo tipo di intervento sarebbe stato mantenere l'isolamento del reattore, cercando di raffreddarlo nonostante che friggesse per il blackout di due ore dovuto al maremoto. Una scelta tattica: sperare che a cose finite i reattori avrebbero potuto ripartire come se nulla fosse.

È stata presa la soluzione due.

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