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Questo articolo è stato pubblicato il 19 marzo 2011 alle ore 08:11.

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ROMA
«Non è possibile immaginare un attacco missilistico dalla Libia in Italia». Andrea Margelletti, presidente del Cesi (Centro studi internazionali), è sicuro: il rischio di ritorsioni o di offensive di tipo militare tradizionale sul nostro territorio da parte dell'attuale governo libico non si può prendere in considerazione. Margelletti fa un'analisi impietosa del sistema militare oggi a disposizione del colonnello Gheddafi. «Le unità della loro marina militare sono inconsistenti e questo è un primo dato che ridimensiona la presunta minaccia».
Né è così tanto smagliante la famigerata aeronautica militare a disposizione dell'esecutivo di Tripoli. Il mezzo migliore a disposizione è «il caccia Mirage F1, peccato che ne abbiano uno solo». Poi, aggiunge Margelletti, in Libia ci sono «i Mig 21 e i Mig 23, cacciabombardieri degli anni '70 del secolo scorso, e i Sukhoi Su 22. Un patrimonio aereo militare senza caccia ricognitori e senza la possibilità di rifornimento in volo. Sicuramente obsoleto». Per fare un esempio «se uno di questi aerei riuscisse a superare la no fly zone, che già si può considerare un'ipotesi impossibile considerati i sistemi di controllo militare della Nato, e arrivasse in Italia, non avrebbe carburante sufficiente per tornare in Libia». Molto vecchi anche i sistemi di difesa antiaerea a disposizione di Tripoli: «SA 2 Guideline ed SA 5, ma sono sistemi degli anni '60 del 1900, di gran lunga superati». E anche con le truppe di terra, aggiunge Margelletti, «il colonnello Gheddafi può disporre soprattutto della brigata corazzata 32 Khamis, dal nome di un figlio del raìs, circa 3mila soldati».
Fonti di intelligence fanno sapere che l'attuale leader libico avrebbe reclutato 500 ugandesi e 300 ucraini pronti a combattere, a cui si sono aggiunti anche uomini provenienienti dal Mali, dal Ciad e dalla Nigeria. «È probabile che gli ucraini siano stati destinati alle operazioni di manutenzione negli aeroporti militari, come nella loro tradizione» sottolinea il presidente del Cesi. Conclude Margelletti: «La vera minaccia libica può arrivare solo con un attentato terroristico».
Proprio ieri il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, ha convocato il comitato nazionale dell'ordine pubblico e la sicurezza, presenti i vertici di Polizia, Carabinieri, Guardia di Finanza e i servizi di informazione e sicurezza. Il livello di attenzione è stato alzato. Nelle prossime ore il dipartimento di pubblica sicurezza, guidato dal prefetto Antonio Manganelli, diramerà nuove disposizioni di controllo su obiettivi sensibili e stato di vigilanza delle forze dell'ordine.
In Italia ci sono un migliaio di libici, in gran parte studenti. Il pericolo, insomma, non è lì. Qualche timore, invece, lo desta il fatto che sono stati rilasciati, in occasione del G-8 a L'Aquila alla fine del 2009 - a cui partecipò il colonnello Gheddafi con una ricca delegazione - numerosi visti d'ingresso in Italia, che hanno valore di tre anni.
C'è poi il fronte, già annunciato da Maroni, delle possibili infiltrazioni terroristiche e criminali legate al flusso di immigrati dalle coste del Nord Africa, già avviato da tempo in Italia. Anche perché è stato osservato che i gruppi di trafficanti libici hanno sempre avuto un'organizzazione efficiente ed efficace, anche durante gli accordi tra Roma e Tripoli, in virtù di forti collusioni con dogane, forze di polizia e militari locali. Anzi, sembra che in questo stato di caos i trafficanti di esseri umani, marocchini e nigeriani, si starebbero organizzando per insediarsi in Libia.
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