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Questo articolo è stato pubblicato il 19 marzo 2011 alle ore 08:11.
Sotto i lunghi portici e davanti agli edifici dall'architettura fascista, di fronte all'elegante palazzina dove il generale Graziani aveva creato il suo quartiere generale, in ogni angolo della capitale della Cirenaica liberata, l'opinione è sempre la stessa. «È un bluff. Non crediamo a questo cessate il fuoco». Lo dicono i leader militari, che si preparano per una nuova controffensiva. Lo ripetono i membri del comitati e gli attivisti della rivoluzione, che esortano tutta la Libia a risollevarsi. Lo urlano le migliaia di persone che anche ieri hanno affollato il grande parcheggio che si affaccia sul mare, divenuta la piazza della rivoluzione libica.
Alle parole di Moussa Kousa, ministro degli Esteri del regime, nessuno ci crede. Il giorno dopo la risoluzione sulla no-fly zone, Moussa ha dichiarato: «La Libia ha deciso di osservare immediatamente un cessate il fuoco e di mettere fine a tutte le operazioni militari». Aggiungendo che «la Libia è costretta a osservare la risoluzione in quanto paese membro delle Nazioni Unite».
«Parole, solo parole, fiato sprecato per prendere tempo e non farsi bombardare», protesta un avvocato improvvisato a pseudo assessore del traffico, che da tre settimane gira in toga per Bengasi. E in effetti da diverse città arrivano testimonianze che la guerra continua. Non si ode più il sinistro ronzio degli aerei, ma l'esercito di Muammar Ghedafi sembra sfidare apertamente la risoluzione 1973. La dichiarazione riferita ieri pomeriggio dai non meglio precisati membri del Consiglio Nazionale Transitorio dell'opposizione alla rete al Arabiya è allarmante: in violazione del cessate il fuoco offerto dal governo libico le truppe del rais continuano l'avanzata verso Bengasi e si troverebbero a 50 km dalla roccaforte dell'opposizione, da cui un mese fa è partita la rivolta. L'anarchica armata degli insorti a difesa della città è in stato di massima allerta. «Le operazioni militari non hanno causato morti tra i civili e tutti gli uccisi sono elementi delle forze di sicurezza o membri delle milizie armata», ha precisato in serata il ministro degli Esteri libico. «Il cessate del fuoco significa nessuna operazione militare. Adesso le nostre forze armate si trovano davanti a Bengasi ma non vogliamo entrare».
La situazione è tesa. Arrivano voci che Misurata, terza città della Libia, situata tra la capitale Tripoli e la Cirenaica, stia per cadere. «Le forze di Gheddafi stanno bombardando anche il centro con l'artiglieria pesante e i carri armati», ha riferito il dottor Khaled Abou Selha all'agenzia Reuters. «Stanno perfino sparando contro le ambulanze».
L'avvocato Salwa Bughaighis, una delle poche donne a far parte del comitato locale, è preoccupata: «Come festeggiare quando continuano a massacrare la popolazione? Ho appena parlato con Tripoli: la gente ha paura perché la repressione continua. Abbiamo notizie anche di scontri tra le nostre forze e i miliziani ad Ajdabiya (160 km o sud-ovest di Bengasi) e da Marsa Brega (strategico centro petrolifero perduto dai ribelli). Anche a Sirte due tribù, i Farjan e i Madal, si sono scontrate con il nemico. La guerra non è affatto finita».
A Bengasi, comunque, tira un'altra aria, più tranquilla. Come se la città, protetta dalle forze della Comunità internazionale, si sentisse più sicura. Le strade portano ancora i segni della grande festa di ieri. Quando, dopo l'annuncio della risoluzione Onu i fuochi di artificio hanno illuminato il cielo e la città è impazzita di gioia. Quando tutti hanno sparato. Dalle centinaia di batterie di contraerea, con i loro traccianti rossi che si perdono nel buio. Alle migliaia di giovani con i loro khalasnikov. Fino a qualche anziano, che ha estratto la pistola da sotto la galabiyya. La città ricorderà questa storica notte, assicurano i dimostranti. La notte in cui, davanti ai nostro occhi, alcuni giovani in lacrime si inginocchiavano e baciavano l'asfalto. E intorno a loro si levavano cori da stadio: «Ya Gheddafi, Ras be Ras, taiara okra Halas (ora Gheddafi siamo faccia a faccia, non ci sono più i tuoi aerei!) «Questa è la sola rivoluzione araba che ha ottenuto il riconoscimento delle Nazioni Unite. La Libia libera è figlia delle Comunità internazionale. Non è successo né in Tunisia né in Egitto».
Due enormi bandiere francesi sono state affisse sulla facciata del tribunale di Giustizia. Il reparto sartoria delle donne della rivoluzione ha lavorato fino all'alba per metterle insieme. Ora in città stanno tornando i giornalisti stranieri e le organizzazioni internazionali. Un giovane ci ferma e chiede: «Ma gli aerei li userete davvero?».
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L'EUFORIA DOPO IL VOTO ONU
- Le forze ribelli che lottano contro il regime del colonnello Gheddafi a Bengasi hanno festeggiato fragorosamente nella notte tra giovedì e venerdì il voto di approvazione della risoluzione Onu per l'imposizione di una "no fly zone" e di altre misure a protezione della popolazione civile, con un fitto fuoco di artiglieria a salve, giochi d'artificio, centinaia di bandiere e migliaia di persone in piazza.
- Il tutto si è svolto davanti alla sede del Consiglio nazionale transitorio, il governo degli insorti, nonostante pochi minuti prima fossero state udite tre forti esplosioni e fosse subito entrata in azione la contraerea dei ribelli. Le foto (servizio su www.ilsole24ore.com) sono state scattate da Roberto Bongiorni del Sole 24 Ore, unico giornalista italiano presente all'evento