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Questo articolo è stato pubblicato il 19 marzo 2011 alle ore 08:14.

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Irridono: «Gheddafi, stavolta non sbagliare mira», provocano: «Maroni, portateli in Padania i tunisini», polemizzano: «Ormai siamo la Guantanamo italiana». Due mesi di minacce, a volte sommesse, altre plateali. Un'isola gonfia di cattivi presagi, come il libeccio che in pieno inverno la prende di petto. Ma ieri a soffiare era la rabbia di un centinaio di lampedusani, con mamme e figlie in prima fila mentre i mariti a bordo dei loro pescherecci ostacolavano le manovre delle motovedette cariche di giovani in fuga dal Nordafrica.

Una resistenza spontanea che per ore ha impedito a due motovedette della Guardia costiera e a tre della Guardia di Finanza con a bordo 400 migranti di attraccare in banchina. È stata una giornata da dimenticare. La rabbia e la frustrazione accumulate da mesi si sono scaricate sull'ultimo assalto di migranti. Urla, spintoni, imprecazioni.

Ormai nell'isola cominciano a scarseggiare anche l'acqua e alcuni generi di prima necessità. Il traghetto Palladio che collega Porto Empedocle a Linosa e Lampedusa salpa a singhiozzo. Il centro di accoglienza di contrada Imbriacola è allo stremo: tremila immigrati in un luogo angusto che al massimo potrebbe contenerne 850.

A far da detonatore la paventata costruzione di una tendopoli che potrebbe ospitare 500 maghrebini: ma la reazione estrema dei lampedusani ha suggerito di rinviare tutto a data da destinarsi. Ci vuole una lunga mediazione con il vicequestore di Agrigento Ferdinando Guarino perché gli isolani acconsentano a far scendere dalle motovedette le donne, i bambini e i migranti in cattive condizioni di salute. Un centinaio di poliziotti e carabinieri in tenuta antisommossa presidiano la banchina e cercano di tenere a bada gli isolani inferociti.

Mentre si fronteggiano i due schieramenti arriva la notizia del ritrovamento nei pressi dell'isolotto di Lampione di due cadaveri di migranti in stato avanzato di decomposizione. È la prova che più di un barcone è affondato nel tentativo di raggiungere questa estrema propaggine del territorio italiano. Intorno alle 20, mentre la tensione è altissima, il sindaco de Rubeis invita le Fiamme Gialle e la Capitaneria di porto a sbarcare i maghrebini sulle coste della Sicilia.

È l'ennesima provocazione, un muro contro muro nel quale improvvisamente si apre una breccia: dalla prima motovedetta saltano sulla banchina 116 migranti. A ruota, una dopo l'altra, seguono le altre quattro imbarcazioni in rada dal pomeriggio. I 400 migranti, dopo una traversata lunga quasi trenta ore, passeranno la loro prima notte in Italia sotto le tre tettoie a forma di pagoda del molo Favarolo. Così, in questa paradossale graduatoria tra sventurati, gli africani ammassati da giorni nel centro di accoglienza potranno sentirsi per una volta un po' più fortunati di qualcun altro.

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