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Questo articolo è stato pubblicato il 19 marzo 2011 alle ore 08:13.

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Il governo italiano non intende restare alla finestra mentre si susseguono tentativi da parte di gruppi francesi di conquistare posizioni nel capitalismo italiano. A dare l'idea dell'urgenza che ha assunto l'argomento c'è la scelta del ministro per l'Economia, Giulio Tremonti, di affrontare la questione durante un consiglio dei ministri straordinario convocato per discutere delle misure da adottare nei confronti della Libia. Un comunicato diffuso da palazzo Chigi ieri ha rivelato che Tremonti aveva tenuto in consiglio una relazione sulle normativa francese posta «a tutela delle partecipazioni strategiche» d'Oltralpe, prennunciando l'intenzione di valutare l'opportunità di uno strumento legislativo per proteggere le società italiane.

Poi è arrivata la notizia della convocazione dell'ambasciatore francese, Jean-Marc de La Sabliere, a palazzo Chigi: rendez-vous durante il quale Tremonti e il sottosegretario Gianni Letta gli hanno comunicato l'intenzione del governo «di tutelare le imprese italiane da scalate di matrice francese».

Quello deciso ieri è un altolà a tutti gli effetti lanciato da Roma a Parigi dopo una preoccupante escalation: Groupama che approfitta della debolezza di Premafin e Fondiaria-Sai per tentare di acquisirne il controllo, Edf che punta i piedi nel riassetto di Edison con gli stessi obiettivi, Lvmh che conquista Bulgari (seppure, in questo caso, su chiamata dei soci italiani) e il gruppo Lactalis che rastrella le azioni Parmalat. E la mossa a sorpresa del governo ha raccolto subito consensi nel sistema nazionale. «Il problema è non essere solo preda. Non dobbiamo creare artificialmente campioni nazionali, ma puntare ad aumentare la dimensione delle aziende», ha commentato il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia. «Se qualcuno vuole che Parmalat abbia un vertice italiano si muova presto bene», ha detto il ministro per le politiche agricole, Giancarlo Galan.

La strada che Tremonti vuole tentare passa per il principio di reciprocità. Un paese che aderisce alla Ue, infatti, non può varare generiche misure restrittive al libero mercato, perchè rischia l'apertura di una procedura di infrazione da parte di Bruxelles. E per l'Italia non sarebbe la prima volta: la Ue ha ancora aperta una procedura simile per le norme italiane sulla golden share, che protegge le società a controllo pubblico. Mentre nel 2003 lo stato italiano è stato deferito davanti alla Corte di giustizia europea per il decreto legge con cui nel 2001 congelò sotto al 2% i diritti di voto del colosso dell'elettricità francese Edf, che accanto a Fiat stava dando la scalata alla Montedison. Una partita che dieci anni dopo è ancora aperta e i cui strascichi sono all'origine della presa di posizione del governo italiano

Il ministro dell'Economia sta cercando una via d'uscita all'impasse in cui l'Italia è costretta dalla debolezza del capitalismo made in Italy, da un sistema normativo, dal Testo unico della finanza del '98 fino al recepimento della direttiva Ue sull'Opa. «Siamo di fronte a una seria disattenzione della politica industriale» ha fatto notare ieri il leader della Cgil Susanna Camusso. Ecco allora che si studiano le norme protezioniste adottate dai francesi per cercare probabilmente di replicarle e usarle contro Parigi. La reciprocità all'europea è questa: non fare agli altri quello che non vuoi sia fatto a te.

L'attenzione sarebbe concentrata su una legge adottata dai francesi a fine 2005, dopo un tentativo della Pepsi di lanciare un'Opa su Danone e contestualmente al piano (fallito) di Enel di conquistare Suez-Electrabel: la norma prevede una lista di oltre dieci settori strategici, in cui l'ingresso da parte di capitali esteri in posizione di controllo in società francesi deve passare attraverso l'ok governativo. Ma l'intervento italiano non si limiterà a questo. Perché una simile barriera non deve essere troppo efficace, se gli stessi francesi nel 2006, per impedire a Enel la scalata su Suez, ne vararono in tutta fretta la fusione di questa con Gaz de France.

Sempre in quell'anno adottarono nuove norme per consentire il ricorso a "poison pill" (manovre difensive per contrastare le scalate). Ma lo strumento più forte con cui furono bloccati i margini di manovra dei gruppi italiani sono poteri conferiti alla Amf, la Consob francese, con il recepimento della direttiva Ue sull'Opa. Amf può intervenire sul potenziale scalatore ai primi rumors o oscillazioni del titolo per chiedergli di scoprire le carte su un'eventuale scalata: se l'aggressore è colto in contropiede, non può ancora svelare i suoi piani e dunque poi non può più assumere alcuna iniziativa per i sei mesi successivi. Allora con Enel lo strumento funzionò. Il film si è ripetuto a fine 2006 con Saipem (Eni) che fu stanata da Amf mentre progettava un'Opa (che andò in fumo) sulla società di impiantistica Technip. In Italia, invece, a uno scalatore basta invocare il «grave danno» per divincolarsi dalle richieste della Consob di fornire puntuali informazioni al mercato.

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