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Questo articolo è stato pubblicato il 20 marzo 2011 alle ore 08:12.

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CERNOBBIO. Dal nostro inviato
C'è un debito pubblico, un debito privato ma c'è anche «un debito atomico» che va calcolato nella valutazione del Pil di un paese e della sua bilancia commerciale perché i costi della chiusura di una centrale nucleare, il cosiddetto "decommissioning", non sono un rischio assicurativo ma «una certezza». Senza tener conto del fattore nucleare, l'Italia risulterebbe con una crescita più elevata di altri paesi: e scontando i costi del decommissioning, il Pil di molti stati ora più alto di quello italiano «andrebbe indietro». Il ministro dell'Economia Giulio Tremonti ha introdotto così ieri, intervenendo al 12° Forum della Confcommercio a Cernobbio, il concetto del «debito nucleare», come spunto di riflessione su quanto sta accadendo in Giappone.
Il presidente di Confcommercio Carlo Sangalli, dando la parola al ministro, ha detto che le imprese sanno che il debito divora il futuro ma auspicano il ritorno alla crescita e una riforma fiscale.
Tremonti ha annunciato che sugli appalti è in arrivo un decreto pronto da tempo per limitare riserve e compensative per colpa delle quali ora «per fare le opere pubbliche in Italia si impiega il doppio del tempo con il doppio dei costi». Il limite alle riserve sarà posto al 30% o per forza maggiore. «I soldi ci sono - ha assicurato - per far ripartire le opere pubbliche basta intervenire sulla burocrazia politica che è tra le peggiori». Nelle riforme che il governo includerà nel programma da presentare a Bruxelles in aprile sarà posta la questione meridionale anche perché le gare europee non funzionano dove non c'è mercato.
All'inizio del suo intervento, il ministro dell'Economia ha detto di condividere la «suggestione» del presidente della Repubblica di un'Italia in mare aperto. «Noi siamo in mare aperto, la realtà sta cambiando velocemente e i vecchi schemi, la retorica, gli slogan e i paradigmi del passato non si possono più applicare». Tra «i cambiamenti strutturali e fondamentali in atto», quello che sta accadendo in Giappone secondo il ministro impone una riflessione, un'analisi e un nuovo calcolo sulla questione dell'energia perché «è difficile che tutto torni come prima». In quanto al nucleare, ha ricordato che l'Italia deve importare energia e questo vuol dire «sbilanciare la bilancia e abbattere il Pil». Se altri paesi non avessero il nucleare, il loro Pil sarebbe più basso. E comunque questo tipo di energia comporta un costo di decommissioning, della chiusura delle centrali nucleari, del quale bisogna tener conto perché è una spesa certa, il nucleare finisce. «C'è un debito atomico che va calcolato». E sulla questione dell'energia, Tremonti ha rilanciato la proposta degli eurobond, cioè del debito europeo. «Questa crisi dovrebbe portare all'emissione degli eurobond per finanziare le energie alternative», ha sottolineato, affermando che oltre agli stress test sulla sicurezza delle centrali nucleari l'Europa avrebbe una ragione in più adesso per finanziare con gli eurobond le energie rinnovabili. «Questo vuol dire avere una visione e guardare verso il futuro», ha rimarcato. E anche questo va nella direzione di applicare nuovi schemi a una realtà nuova.
In Italia comunque qualcosa si può fare nel contesto di questa crisi e delle forti instabilità su scala mondiale in corso. A proposito di mercato e concorrenza, lasciando Cernobbio, Tremonti ha detto ai giornalisti che il governo sta facendo «shopping giuridico»: è in preparazione un decreto sulle opa per difendere l'industria italiana dai take over stranieri. «Stiamo studiando la legge canadese – ha rivelato – mi hanno detto che è stata applicata all'Eni».
Alla platea di imprenditori riunita dalla Confcommercio, Tremonti ha invece ricordato che è stata già fatta una delle migliori riforme pensionistiche in Europa ed è iniziato il processo del federalismo fiscale sul quale il ministro si è detto d'accordo con il capo dello Stato Napolitano perché «va visto in una prospettiva storica, non è una finanziaria». Il governo ha evitato la chiusura del rubinetti del credito alle imprese e ha concentrato un'enorme spesa pubblica sul sociale, sanità, pensioni e ammortizzatori non avendo ricevuto proposte «intelligenti» ma «solo proposte che avrebbero portato al disastro».
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