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Questo articolo è stato pubblicato il 22 marzo 2011 alle ore 07:55.

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I costi del terremoto e dello tsunami che hanno colpito il Giappone dieci giorni fa saranno probabilmente i più alti fra quelli causati da disastri naturali nella storia recente, secondo uno studio diffuso ieri dalla Banca mondiale. Le stime della World Bank indicano che questi costi possono arrivare fino a 235 miliardi di dollari, il 4% circa del prodotto interno lordo giapponese. «È troppo presto per stimare i danni con accuratezza - sostiene lo studio - ma è probabile che siano maggiori di quelli del terremoto che ha colpito la città di Kobe nel 1995». Per il momento, le stime contenute nella prima valutazione del disastro dell'11 marzo da parte della Banca oscillano fra 122 e 235 miliardi di dollari, mentre i danni causati dal terremoto di Kobe sono calcolati in circa 100 miliardi di dollari. La maggior incertezza è data dagli sviluppi, ancora in divenire, della questione delle radiazioni dalla centrale nucleare di Fukushima.


La Banca mondiale ritiene tuttavia, basandosi sulle esperienze precedenti, che, dopo un impatto negativo sulla crescita fino alla metà di quest'anno, l'attività dovrebbe riprendere nei trimestri successivi, grazie all'accelerazione degli sforzi di ricostruzione che possono durare fino a cinque anni. Il costo finale del disastro dipenderà, secondo l'istituzione di Washington, dall'intensità di questi sforzi. Il rapporto afferma che le ampie iniezioni di liquidità da parte della Banca del Giappone e la rivalutazione del cambio in seguito alla chiusura delle posizioni di carry trade e all'atteso rimpatrio di fondi per la ricostruzione dovrebbero esercitare una pressione al ribasso sui tassi d'interesse.

Il rallentamento temporaneo della crescita in Giappone (che peraltro, già prima dell'11 marzo, era prevista dal Fondo monetario al ritmo più basso fra i paesi del G-7, con l'esclusione dell'Italia, all'1,6% nel 2011 e all'1,8% nel 2012) avrà, secondo la Banca mondiale, modeste ripercussioni nel breve termine sul resto dell'Estremo oriente. «A questo punto prevediamo un impatto di breve durata», dice Vikram Nehru, capo economista della Banca per la regione. Lo studio ricorda che, dopo il terremoto di Kobe, il commercio con l'estero del Giappone ha rallentato solo per pochi trimestri. Nel giro di un anno, le importazioni avevano già recuperato completamente e le esportazioni erano rimbalzate all'85% dei livelli precedenti. I paesi che hanno la più alta percentuale di esportazioni diretta al mercato nipponico sono l'Indonesia, le Filippine, il Vietnam e la Thailandia.

Questa volta, il problema più grosso potrebbe essere creato dalla crescente integrazione, nella regione, delle catene produttive e dalla loro interruzione a causa dei danni subiti da molte fabbriche giapponesi. I settori più coinvolti sono quello automobilistico e l'elettronica. «Il Giappone - osserva la Banca mondiale - è un importante produttore di parti, componenti e e beni capitali che forniscono le catene della produzione dell'Estremo oriente». La Cina e le Filippine sono le economie più connesse a quella giapponese, afferma lo studio.

Nel breve e medio periodo, i paesi produttori di energia, come Indonesia, Malesia e Vietnam, potrebbero beneficiare dei prezzi più alti causati dalla perdita di capacità nucleare del Giappone, nonché, più a lungo termine, dal ripensamento, in altri paesi, dei piani di espansione di produzione di energia dal nucleare.

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