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Questo articolo è stato pubblicato il 22 marzo 2011 alle ore 07:42.
DERNA - Protetto da una guardia del corpo, lo sguardo nascosto da occhiali a specchio, Abdul Hakim al-Hasadi si presenta all'appuntamento con un giubbotto di pelle sopra la galabbiya, da cui affiorano le sagome di due grandi pistole: «Non ho mai detto di voler instaurare un califfato islamico a Derna. Non ho rapporti con al-Qaeda e qui non ci sono jihadisti stranieri. Sono il responsabile per la difesa della città. Sarei il primo a saperlo. È solo l'ultima carta in mano a Gheddafi per spaventare l'occidente».
Abdul Hakim al Hasadi sa che il suo nome è sotto i riflettori dei media. Da quando, il 24 febbraio, sette giorni dopo l'inizio della rivolta, il vice ministro libico degli esteri, Khaled Kaim, lo ha citato più volte davanti agli ambasciatori europei: «A Derna è stato creato un emirato diretto da Abdel karim al-Hasadi, un ex detenuto di Guantanamo», ha dichiarato, parlando di scenario «alla talebana». Il connubio Qaeda-Derna è stato ripreso anche da Gheddafi il 3 marzo: «All'inizio della rivolta – ha precisato in tv - un ex detenuto di Guantanamo si è autoproclamato emiro di Derna e ha cominciato a giustiziare ogni giorno delle persone». Parole che hanno allertato diverse diplomazie occidentali, Italia inclusa.
La vicenda di Derna è tuttavia più complessa e nelle accuse di Tripoli vi sono degli errori palesi. Hasadi, il cui nome è Haqim e non Karim, offre la sua versione: «Non sono mai stato a Guantanamo. Sono stato catturato nel 2002 a Peshawar in Pakistan, mentre tornavo dall'Afghanistan dove combattevo contro l'invasione straniera. Sono stato consegnato agli americani, detenuto qualche mese a Islmabad, consegnato in Libia, e scarcerato nel 2008».
Il più celebre detenuto libico di Guantanamo (a cui alludeva il regime ma che non sembra avere legami con Hasadi) è Sufiyan al-Koumi, accusato di essere stato l'autista di Bin Laden, e liberato nel settembre del 2010 grazie all'iniziativa "reform and repent" dal figlio di Gheddafi, Saif al-Islam. Allora centinaia di combattenti del Libyan Islamic Fighting Group (LIFG) furono liberati dopo aver rinunciato alla lotta armata contro il regime (nel 2000 si erano già rifiutati di unirsi alla jihad globale di al-Qaeda). Derna è sempre stata una città ribelle, una spina del fianco per il Rais, che ha cercato , invano, di sottometterla. Tra il 1995 e il 1996 inviò le sue forze speciali nella città. Nei combattimenti contro l'LIfg morirono quasi 100 persone.
Eppure, quando si arriva in auto, dall'alto appare come una tranquilla cittadina che si affaccia sulla baia.
Che Derna sia una città conservatrice lo si vede dallo fervore religioso dei suoi abitanti , dalle vesti islamiche, dalle lunghe barbe. «Cari fratelli che avete combattuto in Iraq e in Afghanistan – incita lo speaker della radio locale, una delle emittenti nate in Libia dopo 42 anni di censura - ora è tempo di difendere la vostra terra!». Nel 2007 l'esercito americano a Baghdad diffuse una lista dei mujaheddin stranieri che combattevano a fianco degli insorti: su 112 cittadini libici , 52 (tra cui alcuni kamikaze) erano di Derna. «Io ne ho inviati circa 25 – precisa Haqim - . Alcuni sono tornati e oggi sono sul fronte di Ajdabiya; sono patrioti e buoni musulmani, non terroristi. Io condanno gli attentati dell'11 settembre, e quelli contro i civili innocenti in generale. Ma i membri di al-Qaeda sono anche buon musulmani e lottano contro l'invasore». Un discorso ambiguo. Eppure è inusuale sentire un uomo accusato di far parte di al Qaeda invocare l'imposizione di una no-fly zone e raid internazionali contro le roccaforti del rais.
Sbarbato, capelli lunghi, giacca e blue jeans, Faraj Ali, 42 anni, non ha l'aspetto di un estremista. Il capo del comitato centrale di Derna mette subito le cose in chiaro: «Non nego che esistano gruppi di combattenti, ma non hanno legami con al Qaeda». Faraj Ali illustra poi la nuova Libia: «Costituzione sistema multipartitico, tripartizione dei poteri». Anche il New York Times, in un recente articolo, ha scritto che «i gruppi islamici stanno collaborando con le controparti laiche per invocare una costituzione democratica». L'imam Mansour Hasadi , 47 anni, è molto popolare. Dal 1998 al 2002 ha scontato quattro anni nel carcere di Abu Dis. «Nemici dell'Occidente? Gheddafi ci ha impedito di studiare in Europa, inviando gli studenti in Africa. Io alzerei un muro con l'Africa e aprirei all'occidente. Derna è un esempio di integrazione culturale e religiosa». «Non ho mai visto l'estremismo in questa terra - ci spiega Suor Celeste Biasioco, 77 anni, in Libia dal 1964. - Qua la gente è tollerante. Ci considerano una grande famiglia». Nella caserma il colonnello Naser Al baraji, comandante della provincia di Derma, è impegnato a coordinare le forze: «I nostri giovani combattono sul fronte con noi contro un nemico comune: Gheddafi». Al Hasadi tuttavia, si dimostra realista: «Se la guerra andrà avanti a lungo è facile che estremisti stranieri entrino dai nostri confini». «Intolleranza? La miglior insegnante nella scuola di mio figlio è una donna – ribatte l'imam Mansour –. Io sarei felice di vedere una donna presidente della nuova Libia. Siamo musulmani, ma non per questo estremisti».
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