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Questo articolo è stato pubblicato il 22 marzo 2011 alle ore 07:42.

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BRUXELLES - L'intervento militare in Libia spacca clamorosamente l'Europa. E paralizza la Nato. Nessun dubbio sulla cacciata di Muammar Gheddafi: se ne deve andare «immediatamente», dice il comunicato finale dei ministri degli Esteri Ue riuniti ieri a Bruxelles, per consentire al suo popolo di approdare a «una società democratica». Nessun dubbio nemmeno sull'invio di una missione militare europea a fini umanitari, su richiesta dell'Onu e sotto il suo coordinamento.


La sintonia tra i 27 paesi dell'Unione si ferma però qui. Tra il protagonismo interventista della Francia di Nicolas Sarkozy e il cauto pacifismo della Germania di Angela Merkel in piena stagione elettorale, il fossato dell'incomunicabilità è grande. Come profonda è la tensione tra l'unilateralismo francese e il tentativo dell'Italia di portare l'intera operazione, scattata su mandato delle Nazioni Unite con la risoluzione numero 1973, nell'alveo del multilateralismo. Che in concreto significa sotto il coordinamento della Nato.


«Non spetta all'Europa l'azione militare per l'attuazione della risoluzione Onu o per il rispetto dell'embargo sulle armi. Se l'Italia ha accettato che la coalizione dei volonterosi scattasse con tre comandi, uno francese, uno inglese e uno americano, è stato per garantire rapidità all'azione» ha dichiarato ieri Franco Frattini. Reclamando a questo punto «il coordinamento della Nato per la sua esperienza, capacità, struttura di comando e per i buoni esempi offerti in fatto di cooperazione con i paesi del Mediterraneo».

Secondo il ministro ci sarebbe «consenso crescente» sulla posizione dell'Italia su cui ieri si è registrata anche la convergenza della Gran Bretagna, per bocca del premier David Cameron. L'Italia comunque, qualora la missione in Libia non passasse sotto il comando alleato, «avvierà una riflessione sull'uso delle sue basi e se ci fosse una moltiplicazione dei centri di comando, dovremmo studiare un modo per riprendere il controllo delle nostre basi». In serata però la Farnesina ha smussato i toni, con una nota in cui si precisa che se non fosse raggiunto un accordo «l'Italia considererebbe l'idea di istituire un proprio comando nazionale separato per gestire le attività di comando e controllo di tutte quelle operazioni militari che prevedono l'uso delle sette basi che il nostro paese ha messo a disposizione».


Parole forti, inusuali, quelle di Frattini. Sintomo evidente della preoccupazione con cui il governo segue l'attivismo apparentemente un po' troppo guerrafondaio di Sarkozy, ansioso di rifarsi una reputazione positiva in casa e nel mondo arabo. In breve, disturbando non poco influenza e disegni dell'Italia, che insiste sul dialogo per la riconciliazione nazionale e su azioni entro e non oltre i paletti Onu.

«Se non fossimo intervenuti subito, oggi a Bengasi sarebbe stato il bagno di sangue» ha risposto a quasi tutti i partner il francese Alain Juppé, per nulla disposto a farsi mettere nell'angolo. «Non è la Nato che ha preso la decisione di intervenire ma una coalizione internazionale su mandato Onu. E comunque bisogna tener conto che la Nato è sgradita alla Lega araba», anche se il suo supporto sarà benvenuto. La Lega ieri ha duramente criticato i bombardamenti sulla Libia che hanno colpito i civili, pur senza togliere l'appoggio alla no-fly zone e alla speranza di rovesciare il regime di Gheddafi.


Critiche alla Francia, forti e chiare, sono arrivate anche dal tedesco Guido Westerwelle: «Abbiamo deciso di astenerci al Consiglio di sicurezza e di non partecipare alla coalizione perché abbiamo calcolato i rischi. Però siamo pronti a partecipare alla missione per gli aiuti umanitari come a inasprire le sanzioni». Con la Germania sono schierati i paesi medio-piccoli, Polonia e tutti quelli dell'Est.

Se si tiene conto che gli Stati Uniti, bruciati dall'esperienza in Afghanistan e Iraq, esitano a impegnarsi più di tanto in Libia, che la Turchia denuncia «un modo di procedere da guerra globale che non rispetta la numero 1973», si capisce bene come mai la Nato, che deve decidere con il consenso di tutti i 28 alleati, non riesca a farlo. Si spera in uno sblocco tra oggi e domani. Ma con questi chiari di luna nessuno ci conta più di tanto. Nell'attesa, l'Europa punta anche sull'arma di sanzioni sempre più pesanti: sono salite da 27 a 38 le persone colpite dal congelamento dei patrimoni e dal blocco dei visti e da 5 a 14 le entità finanziarie, compresa la Compagnia nazionale del petrolio.

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