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Questo articolo è stato pubblicato il 22 marzo 2011 alle ore 06:39.

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«Aumentare le aliquote fiscali è fuori discussione: comprometterebbe l'obiettivo della crescita, sottoporrebbe i contribuenti onesti a un'insopportabile vessazione; le aliquote andrebbero piuttosto diminuite, man mano che si recuperino evasione ed elusione».

È netta la posizione del governatore della Banca d'Italia Mario Draghi che ieri, in un intervento all'Università cattolica dedicato al futuro dell'euro («senza l'Unione, il semplice coordinamento di decisioni nazionali non avrebbe prodotto risultati altrettanto rapidi ed efficaci»), è tornato sul tema di come riattivare uno sviluppo duraturo in Italia: «Il problema dell'economia italiana, non è mai superfluo ricordarlo, è la difficoltà strutturale a crescere. Il compito, difficile, della politica economica è cambiare questo stato di cose riducendo al tempo stesso l'incidenza del debito pubblico sul prodotto».
La sfida, ha quindi spiegato Draghi,sta nel ripristinare rapidamente un solido avanzo primario e non sottrarsi all'esigenza di mettere in campo interventi che sostengano strutturalmente la crescita. Ma per far questo «non resta – ha aggiunto – che il controllo della spesa, ma un controllo selettivo, orientato innanzitutto dalla distinzione fra ciò che favorisce la crescita e ciò che la ostacola. Scelte politiche sagge non possono che poggiare su una valutazione capillare degli effetti anche macroeconomici di ogni voce di spesa».

Commentando la situazione della finanza pubblica e dell'indebitamento privato, Draghi ha ricordato in primo luogo che tra il 2008 e il 2009 il disavanzo è passato dal 2,7% al 5,4% del Pil e che a questo aumento non hanno contribuito le politiche di bilancio; nel 2010 il deficit si è poi ridotto al 4,6% mentre quello dell'euroarea è rimasto al 6,3%. «Alla tenuta dei conti da parte del governo ha contribuito il fatto che la solidità del sistema bancario italiano non ha richiesto rilevanti aiuti a carico del bilancio pubblico». Quanto al debito pubblico italiano, già molto alto, è salito ancora, ha ricordato Draghi, aggiungendo però che «la sua gestione è stata prudente: ne è stata progressivamente allungata la vita media residua, pur in un contesto che rimaneva incerto e volatile». Sul versante privato «la situazione patrimoniale di imprese e famiglie è nel complesso solida. La propensione dei risparmiatori verso strumenti finanziari ad alto rischio è bassa; l'indebitamento è contenuto, anche se concentrato in passività a tasso variabile, intrinsecamente più rischiose».

Il governatore ha inoltre spiegato che le ripercussioni di shock esogeni di prezzo, come quello da petrolio sulle economie dei Paesi dell'Eurozona «sono oggi molto contenute. Secondo nostre valutazioni - ha sottolineato - rispetto al decennio degli anni Settanta l'effetto inflazionistico in Italia di uno shock di questo tipo si è ridotto a un decimo». Draghi ha poi sostenuto che non si deve temere «la più attenta sorveglianza multilaterale sulla sostenibilità dei bilanci pubblici prevista dal nuovo Patto per l'euro». Anche perché «le riforme già fatte, in particolare quella pensionistica, ci pongono tra i paesi in cui per assicurare la sostenibilità di lungo periodo occorre una minore correzione dei saldi di bilancio. La nuova regola europea per la riduzione del debito(dovrebbe essere pari ogni anno a un ventesimo del divario fra l'incidenza del debito sul Pil e la soglia del 60%, ndr) «non costituisce per noi un vincolo molto più stringente di quello già imposto dalla vigente regola del pareggio strutturale di bilancio».

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