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Questo articolo è stato pubblicato il 23 marzo 2011 alle ore 08:16.

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L'Italia dei dietrofront, dei tentennamenti, dei cambi di rotta, dei mediocri e degli ossequiosi vince sul genio italico. Anche nell'energia atomica. L'Italia ebbe la centrale nucleare più potente del mondo, aprì il primo reattore civile d'Europa, era il paese europeo con la più forte produzione di elettricità atomica.
Ecco le tappe di una storia nucleare contrastata. Una storia che comincia a Roma, in via Panisperna, nel dicembre 1938.
Enrico Fermi, la cui moglie era ebrea, scandalizzato dalle leggi razziali e deluso dal taglio continuo ai finanziamenti per i laboratori di fisica, partì per Stoccolma per ritirare il premio Nobel per la fisica. Aveva 37 anni. Non tornò più in Italia e realizzò negli Stati Uniti il primo reattore nucleare del mondo. Con lui, il geniale Emilio Segrè, ebreo, premio Nobel per la Fisica nel '59.


Chiude il primo reattore
Era il 13 aprile 1959: a Ispra, sulla sponda varesina del lago Maggiore, il presidente della repubblica Giovanni Gronchi inaugurò – con la democristianissima benedizione delle autorità religiose – il primo reattore atomico civile d'Europa. Era stato realizzato dal Comitato nazionale per la ricerca nucleare, istituzione che poi si sarebbe chiamata Cnen e poi Enea. Tre mesi dopo, la brughiera di Ispra aveva ancora l'odore acre della vernice fresca quando il governo – il 22 luglio – decise la seconda marcia indietro atomica dopo quella del '38 e cedette il reattore alla neonata Euratom. Il centro ricerche appartiene ancora oggi all'Europa e si chiama Joint research center.


Arrivano Eni, Edison e Iri
Prima che si costruisse il centro ricerche di Ispra, l'industria privata stava lavorando per avere le sue centrali atomiche. Nel '57 Agip Nucleare (con il 15% di adesione dell'Iri) propose la centrale di Latina Borgo Sabotino, un impianto da 210 megawatt, il più grande d'Europa. Entrò in servizio nel '63, mentre era in corso il processo di nazionalizzazione nella neonata Enel.
Dal '59 al '63 l'Iri costruì, attraverso la Senn (Società elettro nucleare nazionale) la centrale del Garigliano a Sessa Aurunca (Caserta). Era un reattore General Electric ad acqua bollente da 160 megawatt.
Nel '55 l'Edison propose la costruzione di un impianto ad acqua pressurizzata da 134 megawatt (la più grande al mondo) con tecnologia Westinghouse a Trino Vercellese; alla Selni (Società elettro nucleare italiana) aderirono Sade, Romana, Selt Valdarno, Sges, Iri, Sme (era ancora la Società meridonale di elettricità), Sip (era ancora la Società idroelettrica piemontese), Terni. Nel '66 la centrale passò all'Enel. Nel '66 l'Italia produceva dal nucleare 3,9 miliardi di chilowattora, terzo paese al mondo.
A Caorso (Piacenza), sull'argine del Po, negli anni 70 l'Ansaldo costruì per l'Enel con tecnologia General Electric una centrale ad acqua bollente da 882 megawatt.

Il referendum
L'incidente drammatico di Cernobyl accadde 25 anni fa, nella notte tra il 24 e il 25 aprile '86. Fu simulata per fini sperimentali un'avaria, ma dalla simulazione avvenne l'irreparabile: esplose il reattore 4. La nube atomica contaminò l'Europa e diede facile esca all'emotività italiana. L'anno dopo, l'8 e 9 novembre '87, il referendum. Votò il 65,2% degli aventi diritto; favorevoli all'abrogazione delle norme nucleari il 75 per cento.
Invece di lasciarle funzionare fino al naturale pensionamento, le centrali furono spente subito e cominciò lo smantellamento, ancora in corso. Si fermò anche la costruzione della centrale di Montalto di Castro, arrivata a metà.

Scanzano Jonico
Nel 2003 la Sogin, guidata allora dal generale Carlo Jean, annunciò la costruzione a Scanzano Jonico (Matera) del deposito nazionale dei rifiuti nucleari chiesto dal governo Berlusconi 2. Si scatenarono le proteste locali, propugnate anche dai politici lucani della maggioranza di governo.
Di fronte alla minaccia di perdere il consenso, il governo fece marcia indietro. L'ennesima.
L'Italia non ha ancora un deposito nucleare.

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