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Questo articolo è stato pubblicato il 22 marzo 2011 alle ore 20:04.
Qualche «perplessità sulle modalità, legate soprattutto al fatto che l'intervento riguarda la Libia» e quindi gli interessi che ruotano attorno a Gheddafi. Nessun dubbio sul fatto che l'operazione «va fatta, ma con coerenza». Che cosa intende dire veramente Francesco Speroni lo spiega così: «Perché non sono state decise operazioni per tutelare i civili in Sudan o in Marocco? Oppure in Siria, nel Barhein o in Yemen? Perché l'Onu si è accorto solo oggi di chi è Gheddafi? Nel 2003 - ricorda l'europarlamentare leghista - la Libia presiedeva la commissione dei diritti umani delle Nazioni Unite.»
Nelle voci dei politici leghisti sull'opportunità dell'intervento militare in Libia, quella dell'ex ministro per le riforme è tra le più concilianti. Il punto di svolta è la richiesta di coerenza. Allora, dice Speroni interventi simili «andrebbero fatti in tutti i posti dove sono in corso rivolte». Il tema è delicato e serve maggiore linearità. Quindi, «bisognerebbe chiarire in maniera più approfondita quali sono i termini per gli interventi Onu, la verità è che serve una riforma delle Nazioni Unite». La decisione di intervenire in Libia secondo l'europarlamentare sarebbe «fortemente condizionata da interessi per petrolio e gas». «Con Gheddafi sta succedendo la stessa cosa che accadde con Slobodan Milosevic: nessuno voleva abbatterlo, ma poi decisero di bombardare Belgrado». Insomma «va bene la realpolitik, ma questa azione è difficile da digerire».
Quanto al problema dei rifugiati, il timore di Speroni è lo stesso di Maroni, «che tra loro si nascondano mascalzoni, terroristi, ora che l'accordo con la Libia per il blocco dei clandestini è, per forza di cose, saltato». E poi ci sono tutti gli aspetti che riguardano il ruolo dell'Europa, sul quale da eurodeputato Speroni «vede uno scollamento totale dell'Unione. Che invece dovrebbe farsi carico dei rifugiati. Il trattato di Dublino, datato 1951 stabilisce che l'asilo ai rifugiati venga concesso nel primo stato dove arrivano, per evitare una sorta di shopping dell'asilo politico a seconda delle convenienze per le condizioni vigenti nei singoli stati. Ma si tratta di un trattato stipulato quando l'Unione europea non esisteva ancora». E poi ci sono gli aspetti legati agli accordi di Schengen che ora - sottolinea l'esponente leghista - «è di fatto sospeso dopo che la Francia ha attuato blocchi a Ventimiglia, senza alcuna sospensione formale». Tutto ciò - sostiene Speroni - «è miope, perché gli accordi di Schengen dimostrano come in realtà tutti gli stati Ue dovrebbero farsi carico della questione, anche per ragioni pratiche».
Adesso il nodo più delicato nei riflessi italiani della vicenda è il passaggio parlamentare. La maggioranza sta lavorando a una risoluzione da presentare mercoledì al Senato, per il dibattito, e giovedì alla Camera. La Lega ha posto alcune condizioni: rispetto degli accordi con la Libia su gas e petrolio e sulla risoluzione Onu, spartizione dei profughi e blocco navale. «Quello parlamentare è un passaggio giusto», sostiene Speroni. «Il Belgio, nonostante abbia in carica un governo per gli affari correnti, lo ha già fatto». Le opposizioni insistono perché sia il presidente del Consiglio a riferire in aula, ma il Pdl su questo resta freddo. La possibilità che si ripeta il voto bipartisan di venerdì scorso nelle commissioni, quando la Lega non partecipò ai lavori, dipenderà da quali testi Governo e maggioranza metteranno in votazione e da cosa l'esecutivo dirà in aula.
Sul voto di venerdì scorso nelle commissioni Francesco Speroni sostiene che c'è stata una «montatura e una distorsione in come sono state raccontate le cose». Non è vero - dice - che la Lega era contraria, «semplicemente non ha partecipato al voto. Ma in sede di governo ha dato il suo appoggio alle decisioni assunte. E ora la scelta di porre delle condizioni è un percorso corretto». Difficile ora sostenere la casualità dell'assenza al voto del Carroccio. «Questo non lo posso sapere, non ero presente», risponde l'europarlamentare. «In ogni caso - precisa - se qualche fraintendimento c'è stato ora si è ricomposto e il dibattito parlamentare, trasparente e pubblico, lo dimostrerà».
A sentire gli ascoltatori di Radio Padania, però, l'ipotesi di un sì leghista alla guerra in Libia è un boccone decisamente indigesto per la base. «Sono simpatizzanti, non rappresentano il movimento», taglia corto Speroni. Vero è che se ora i toni degli esponenti leghisti sono più morbidi, subito dopo le decisioni internazionali sulla Libia il no della Lega appariva più deciso. «La verità - dice Speroni - è che ci siamo trovati spiazzati, perché le cose sono accadute troppo in fretta, tutto ha improvvisamente subito un'accelerazione, sia da parte dell'Onu che da parte di Parigi».
Il Carroccio, per voce di Federico Bricolo, presidente dei senatori leghisti precisa che la Lega è «favorevole a una risoluzione di maggioranza sulla Libia che contenga anche, al di là dell'intervento umanitario, la difesa dei nostri confini per bloccare i flussi degli immigrati in partenza dal Nord Africa e in arrivo sulle nostre coste». Allo stesso tempo, dice Bricolo «il governo deve impegnarsi a tutelare gli accordi energetici fatti con la Libia per evitare che il loro mancato rispetto porti conseguenze negative sul costo dell'energia e dunque sulle famiglie e le imprese». Mentre la richiesta di affidare il coordinamento delle missioni alla Nato resta un caposaldo per il governo italiano, ma pare sia di difficile digestione per quello transalpino.
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