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Questo articolo è stato pubblicato il 25 marzo 2011 alle ore 06:38.

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BENGASI. Dal nostro inviato
A Bengasi, e forse non solo qui, c'è qualcuno che sogna una sorta di Emirato petrolifero della Cirenaica affacciato sul Mediterraneo, poco più di un milione e mezzo di abitanti da governare con l'oro nero. «Lungo la costa, ad Ajdabiya, Brega, Ras Lanuf, si combatte per qualche cosa che sta nel deserto: il petrolio della Cirenaica, l'80% di tutto quanto rende la Libia di oggi un paese ricco».
Wanise el Isawi, ingegnere della compagnia Arabian Gulf Company (Agco) non ha dubbi. E forse non li hanno neppure molti libici e occidentali che dagli anni Cinquanta si disputano il petrolio dei Senussi, la grande confraternita musulmana da cui discendeva re Idris e alla quale apparteneva anche Omar el Mukhtar, l'eroe della lotta anticoloniale. Anzi fu proprio a Bengasi che un monarca riluttante, sospinto dagli inglesi, proclamò nel 1951 l'indipendenza della Libia Unita dal balcone del palazzo moresco Al Manar: re Idris si sarebbe accontentato di molto meno e del titolo di emiro della Cirenaica.
La Cirenaica, dove è custodito pure il 50% delle riserve di gas, vuole riprendersi il suo petrolio, una ricchezza che negli oltre 40 anni di potere del Colonnello è passata da qui quasi senza lasciare traccia, almeno così sostengono gli insorti. Eppure nel 1978, quattro anni dopo l'ascesa di Gheddafi, la Libia era già il paese più affluente dell'Africa con un reddito pro capite di 14mila dollari. Cosa è successo?
«Gheddafi - spiega el Isawi - ci ha lasciato ai margini: la strategia per molto tempo è stata quella di estrarre all'Ovest, nella Sirte o in Tripolitania, sotto il controllo diretto del regime perché questa era considerata una regione ribelle, al punto che il Colonnello ha tentato persino di oscurare il mito di Omar el Mukhtar con il Libro Verde della sua rivoluzione».
Alla vigilia della rivolta, la Libia produceva 1,6 milioni di barili, 1,2 venivano estratti in Cirenaica, con la partecipazione di un gran numero di multinazionali, come conferma il capo del dipartimento riserve, Youssef Gherrye: «La nostra compagnia, l'Agco produce 500mila barili al giorno, gli altri 700mila sono distribuiti tra la francese Total, la spagnola Repsol, l'Eni, con il giacimento di Zuwaytinah, la tedesca Veba e un consorzio canadese». Certo l'Eni sul piano nazionale libico è il maggior produttore, con contratti prolungati fino al 2042 e Tripoli è stata agganciata nel 2004 all'Italia dal gasdotto Greenstream, un cordone ombelicale che nessun regime avrà mai il coraggio e forse neppure l'interesse a recidere.
Ma è chiaro che con l'insurrezione anti-Gheddafi il petrolio della Cirenaica è diventato la posta in gioco della guerra. Forse si spiega anche così l'atteggiamento bellicoso della Francia, molto reticente a sottoporsi alle decisioni politiche della Nato: per prima con i Rafale si è spinta a bombardare i caccia Mirage che Parigi aveva venduto a Tripoli e lo ha fatto con la speranza, non troppo nascosta, di riportare a casa, un giorno, contratti vantaggiosi.
Per questo costringere alla resa i lealisti di Ajdabiya - come si sta cercando di fare - è un'operazione umanitaria di protezione dei civili, sopraffatti e martoriati dai gheddafiani, ma anche una mossa indispensabile, destinata ad aprire agli insorti la strada per riprendere i terminali di Brega e Ras Lanuf con la sua raffineria. Questa è in sostanza la Cirenaica, tra geografia, storia e petrolio: parte a oriente al confine egiziano di Sollum e finisce più o meno a Ras Lanuf, con alle spalle il deserto sahariano segnato dall'oasi di Giarabub e dal 29° parallelo.
Se perde i terminali petroliferi Gheddafi, già soffocato in Tripolitania dalla mancanza di carburante e rifornimenti, è un raìs che vale ancor meno della metà. «Le vecchie lealtà delle tribù, indispensabili per controllare l'oro nero nel deserto - osserva l'ingegner Isawi - potrebbero sfaldarsi». Ed è quello che sperano a Bengasi e in Occidente: il pregiato petrolio libico, definito sweet, dolce, per il basso tenore di zolfo, ha segnato in realtà il destino amaro della Libia nelle mani di un dittatore.
Ma la Cirenaica è anche una lezione della storia. Con le nazionalizzazioni di Gheddafi e l'espulsione degli italiani nel '70, qui si sono infranti gli ultimi sogni di colonizzazione dell'impero fascista. Ai 10 comandamenti, scrive lo storico della Libia Federico Cresti, se ne dovrebbe aggiungere un altro: non desiderare la terra d'altri. Ma ora, di fronte alle ambizioni di vecchie e nuove potenze, si potrebbe persino aggiornare la lista: non desiderare - troppo - il petrolio altrui, anche quello della Cirenaica.
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IL PETROLIO 1,6 milioni
I barili
IL GAS 50%
Le riserve

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