Storia dell'articolo

Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 25 marzo 2011 alle ore 21:12.

My24

Prima il riconoscimento di quello che definisce «il capolavoro» di Umberto Bossi. «La Lega è stata bravissima a presentare un'esigenza reale, presente tra l'altro nella Costituzione, con la parola magica del federalismo». Poi, però, l'affondo. «La più grande sciocchezza è quella di parlare di Padania. Che cosa tiene insieme, infatti, Ventimiglia con il Cadore se non l'essere italiani?». Gianfranco Fini sceglie così il bastone e la carota per tratteggiare il ruolo del Carroccio nella maggioranza. Lo fa conversando con l'ex premier Giuliano Amato nel corso della presentazione del suo libro "L'Italia che vorrei" organizzata da Enrico Cisnetto nell'ambito di "Aspettando Roma incontra".

Il leader di Fli: bisogna uscire dalla logica tribale del derby
Il presidente della Camera svela subito i contorni del Paese che sogna. «Vorrei un'Italia con la democrazia dell'alternanza. Tra l'Italia che vorrei e quella che c'è esiste una grande distanza se nel sistema bipolare non c'è nulla di unificante». Perché Fini si guarda attorno e vede pochissime convergenze tra le forze politiche. «Bisogna uscire dalla logica tribale del derby. Come nel calcio dove le rispettive tifoserie sono impegnate unicamente a scontrarsi tra loro, senza neanche guardare la partita. E tra poco finirà così anche in politica». D'altro canto, osserva ancora il leader di Fli, gli esempi non mancano. Basta rimandare indietro il nastro al voto parlamentare sulla Libia che, secondo Fini, «è una ulteriore conferma che nell'Italia di oggi non c'è mai una condivisione per il bene comune. La politica è incapace di trovare momenti di convergenza e questo sfibra il paese ed è alla base della stanchezza degli italiani».

La riforma del Carroccio lontana dallo spirito del progetto di Cattaneo
Poi l'attenzione vira sul federalismo e su un punto Fini e Amato sono assolutamente d'accordo. «Quando Carlo Cattaneo parlava di federalismo lo faceva perché voleva che il Paese fosse unito». Al Carroccio entrambi riconoscono il merito di averlo sdoganato anche se la riforma portata avanti da Umberto Bossi e dai suoi è lontana anni luce dal progetto federalista sponsorizzato da Cattaneo. «Se non fosse esistita la Lega - sottolinea Amato - noi non lo avremmo mai chiamato "federalismo"». Perché, è il ragionamento dell'ex premier, quello che in realtà si sta cercando di realizzare attraverso i provvedimenti ancora all'esame del Parlamento, non è un vero e proprio federalismo, ma una sorta di «autonomia delle Regioni», di «decentralizzazione».

Amato: il termine federalismo è enfatizzazione verbale voluta dalla Lega
Tutti concetti che erano già ben presenti, sottolineano Fini e Amato, «nello spirito dei padri costituenti e dunque nella Costituzione». Tirare fuori il termine federalismo, precisa ancora Amato, è stata solo «un'enfatizzazione verbale voluta dalla Lega». Il vero federalismo, insiste l'ex leader socialista,«presupporrebbe tribunali federali, legislazioni penali diverse da Stato a Stato, insomma una serie di cose che qui in Italia fortunatamente non abbiamo anche perché siamo davvero troppo piccoli». Il leader di Fli e Amato concordano poi sul fatto che sia stato un bene responsabilizzare ulteriormente le Regioni anche sul fronte della spesa, ma ribadiscono che questo non è il vero federalismo. In realtà con questo termine si è voluto far passare non solo un tentativo di divisione dello Stato, ma soprattutto, sottolinea Fini, una sorta di »orgoglio per le radici del focolare«. Insomma, se uno va al nord, per il veronese federalismo significa semplicemente essere orgoglioso di essere nato a Verona. È vero, prosegue l'inquilino di Montecitorio, che le tradizioni locali sono senz'altro una ricchezza, ma tutto questo deve portare «a unire il Paese e non a dividerlo». (Ce. Do.)

Commenta la notizia

Shopping24

Dai nostri archivi