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Questo articolo è stato pubblicato il 26 marzo 2011 alle ore 09:48.

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L'Eurogruppo riparte da un'autoriforma di tutto rispetto. Ampia, severa, incisiva se non radicale. Armata di nuove regole e di strumenti più credibili per garantirne il rispetto. Nonché di un Fondo permanente di stabilizzazione per i paesi in difficoltà, che di fatto seppellisce il divieto dei salvataggi, la vecchia clausola di Maastricht di no-bail out, tanto che il suo varo richiede una mini-riforma del Trattati Ue che ora andrà ratificata in tutte le capitali europee.
Il vertice dei capi di Stato e di Governo dell'Unione ieri a Bruxelles ha dato la sua solenne benedizione alla svolta che, per dirla con il cancelliere tedesco Angela Merkel, garantisce che "non rifaremo gli errori del passato ma contribuiremo tutti a fare in modo che non si ripetano mai più".

Un esercizio nuovo e più corale, dunque, che tiene a battesimo quel che a Maastricht proprio i tedeschi consideravano un anatema, cioè la prima posa del pilastro economico dell'Unione monetaria, in breve la nuova governance, visto che proprio la sua assenza è stata una delle cause scatenanti della grande crisi.

Niente tempo per rallegrarsi però. Prima di tutto perché, dopo Grecia e Irlanda, il Portogallo è diventato il terzo grande punto interrogativo: in balia della crisi di Governo, in bilico tra elezioni e un'austerità pesante, difficile da digerire dovunque.
Perché, come ha detto ieri il premier belga Yves Leterme, la crisi attuale "è cominciata con una crisi bancaria, che è diventata economica, sociale e ora anche politica". Con quello di Lisbona siamo al terzo Governo dell'area euro che cade sul rigore.
Il Portogallo ieri ha ribadito che non chiederà comunque il prestito europeo. E il lussemburghese Jean-Claude Juncker, che pure il giorno prima era arrivato addirittura a quantificarlo in 75 miliardi, ieri si è detto convinto che "non lo chiederà".

Niente da rallegrarsi anche perché, opportunamente accantonate le questioni dei contributi nazionali al fondo attuale, l'EFSF, e del rinegoziato delle condizioni del prestito all'Irlanda per evitare nuove bagarre, il vertice è comunque riuscito a scontrarsi con violenza sull'ESM, il fondo futuro operativo dal 2013. Con l'accordo chiuso soltanto 4 giorni prima dai ministri finanziari, la Merkel si è presentata con la richiesta di portare da 2 a 5 rate uguali i versamenti in contanti (80 miliardi su un totale di 500) da fare all'Esm. "Gli accordi sono accordi" ha reagito furente l'olandese Mark Rutte. Alla fine, come sempre, la Germania l'ha avuto vinta. Non però sull'altra idea: imporre ai paesi senza "tripla A" di versare contributi maggiori rispetto a quelli che ce l'hanno (Germania, Francia, Olanda, Lussemburgo, Finlandia e Austria).

Di fronte alla prospettiva di spaccare in due l'area euro, il no dell'Italia è stato irremovibile. Alla fine non se ne è fatto niente. Ma l'episodio è sintomatico del brutto clima che di questi tempi purtroppo si respira in Europa. "L'euro è una storia di promesse tradite. L'Unione europea è diventata l'unione dei trasferimenti finanziari, con Germania e Francia nel ruolo dei salvatori" accusava ieri la Frankfurter Allgemeine. Ma perché la Merkel non spiega che gli aiuti sono in realtà prestiti molto ben remunerati e destinati a salvare anche le banche tedesche dai loro pessimi investimenti? Non per niente il vertice ha annunciato "strategie specifiche e ambiziose di ristrutturazione degli istituti vulnerabili" da attuare prima dell'esito degli stress test a fine giugno. Implicito ma molto rumoroso campanello di allarme.

La nuova governance economica che va comunque a incominciare gioca sul tavolo del rigore continuato sui conti pubblici e sul recupero di competitività dei singoli paesi nel segno di una convergenza crescente. In concreto, significa attenzione al debito oltre che al deficit e sanzioni per i renitenti alla disciplina. Significa già dal 2012 "un aggiustamento strutturale annuo ben superiore allo 0,5% del Pil soprattutto per i paesi con ampi deficit strutturali o con debiti molto alti o crescenti". Questo potrebbe comportare sforzi aggiuntivi anche per l'Italia, anche se i verbi del testo al condizionale di fatto annacquano la prescrizione. Salari agganciati alla produttività, riforma del mercato del lavoro, delle pensioni, del fisco, ricerca e innovazione, istruzione e formazione alcuni dei tanti tasti da premere per rilanciare la competitività con impegni annuali dei Governi, poi soggetti a verifica europea.

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