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Questo articolo è stato pubblicato il 26 marzo 2011 alle ore 15:48.

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I genitori di Bouazizi, il primo ragazzo a darsi fuoco: lo rivedo ogni giorno negli occhi di tutti i tunisini liberiI genitori di Bouazizi, il primo ragazzo a darsi fuoco: lo rivedo ogni giorno negli occhi di tutti i tunisini liberi

TUNISI - «Rivedo Mohamed ogni giorno, negli occhi di tutti i tunisini liberi che incontro». Lo ha detto anche a Ban Ki Moon, Manoubia, la madre di Mohamed Bouazizi, il proto-martire di quella che è passata alla storia come la "Rivoluzione dei gelsomini". Anche se a Tunisi e soprattutto a Sidi Bouzid, la città agricola nel centro della Tunisia da cui è partito tutto, quell'espressione coniata dalla stampa non piace. «Preferiamo chiamarla la Rivoluzione del 17 dicembre, che è il giorno in cui Mohamed si è dato fuoco».

Manoubia ci accoglie nella sua nuova casa alla Marsa di Tunisi. E' stato il governo di transizione di Ghannouchi a concederla a lei, il suo attuale marito, fratello del padre di Mohamed, e i suoi altri tre figli. L'intera famiglia è stata ricevuta dal segretario generale dell'Onu, giunto in visita ufficiale a Tunisi, nel suo viaggio tra i paesi nord-africani freschi di rivoluzione: «E' stato un grande onore - dice Manoubia in arabo-tunisienne - mi ha fatto le condoglianze e mi ha detto di considerarmi fortunata, perché il gesto di mio figlio ha aperto gli occhi di molta gente».

Da quel 17 dicembre sono cambiate diverse cose nella vita della famiglia Bouazizi. Anche se Manoubia e suo marito, che si sono trasferiti a Tunisi solo per pochi giorni, continuano a vivere ancora nella vecchia e povera casa di Sidi Bouzid. «Quella è la nostra città - dice - ed è lì che mio figlio è nato ed è morto. Rimarremo a vivere lì la nostra vecchiaia». Manoubia ricorda poco di quel giorno di tre mesi fa, che le ha strappato un figlio di 26 anni, dando il via ad una tempesta rivoluzionaria che ha incendiato l'intero mondo arabo e ancora non si placa. Alcuni amici del figlio l'avevano avvertita che Mohamed si era sentito poco bene ed era stato trasportato all'ospedale di Sfax.

La tragica verità le è stata comunicata solo qualche settimana dopo, poco prima che suo figlio morisse, il 4 gennaio, dopo 18 giorni di agonia. «L'ultima volta che ho visto mio figlio è stata la mattina del 17 dicembre - dice Manoubia, trattenendo a stento le lacrime - era sorridente, porterò sempre con me questo suo ultimo ricordo». Lo stesso volto che ora è esposto nella piazza centrale di Sidi Bouzid, assieme a quello di Houcine Nagi e degli altri martiri della rivoluzione. Le loro tombe sono ospitate nel cimitero di Graa Benour, a pochi chilometri da Sidi Bouzid. Accanto a quella di Mohamed il governo Ghannouchi ha fatto piantare una bandiera della Repubblica. Prima di rassegnare anch'esso le dimissioni, in quanto ex membro della Rcd, dopo le proteste di febbraio alla casba di Tunisi.

Di politica, del dopo Ben Ali, Manoubia preferisce non parlare: «Non ho mai capito molto di politica - confida - ma il mio auspicio è che la situazione a Sidi Bouzid e in tutto il resto della Tunisia possa tornare presto alla normalità. Che i ragazzi tornino a lavorare e a costruire questa nuova Tunisia, democratica, che appartiene ad ognuno di loro». Una stabilità che, purtroppo, specie a Sidi Bouzid, sembra ancora di là da venire. Tre giorni fa un altro ragazzo si è dato fuoco in un parco della città, per protestare contro la visita di Ban Ki Moon, reo secondo molti di aver snobbato la rivoluzione nel momento in cui avveniva. Si chiamava Khalil Zaaffouri, aveva 23 anni ed era anche lui uno studente disoccupato.

A nulla è valso il trasporto all'ospedale di Sfax, dove è morto poche ore dopo, per le ferite riportate. «Tutto questo mi addolora come madre - dice Manoubia - io so cosa significhi perdere un figlio in quel modo. Voglio lanciare un appello a tutti i giovani tunisini: non buttate più via le vostre vite. E' il momento di smetterla, abbiamo avuto troppi morti, causati dal vecchio regime e dai criminali della Polizia di Ben Ali, per i quali nutro solo odio. Adesso è il momento di scegliere la vita». A pensarla così, del resto, sono anche i parenti delle altre vittime degli scontri di dicembre e gennaio. Almeno 300 sparsi tra Sidi Bouzid, Kasserine, Thala e molte altre città, tra cui la capitale. «Spero che il governo che verrà non sia più corrotto» dice Faycel Nagi, fratello di Houcine, il secondo martire della città di Sidi Bouzid, morto dopo essersi lanciato sui cavi dell'alta tensione.

Alla sua famiglia il nuovo governo ha inviato 20 mila dinari e una promessa, quella di tirarli fuori da povertà e disoccupazione. Ma a Faycel non basta: «Non saranno questi soldi a restituirmi mio fratello - dice amaro - e in ogni caso non è migliorando la situazione di una sola famiglia che si risolvono i problemi della Tunisia. Bisogna abbattere la disoccupazione che affligge tutti i giovani tunisini. Houcine avrebbe voluto così».

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