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Questo articolo è stato pubblicato il 27 marzo 2011 alle ore 15:44.

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Il federalismo regionale mette in moto anche l'addizionale Irpef, che dal 2013 non rimarrà integralmente nella regione in cui è nata ma alimenterà il fondo perequativo per aiutare nel finanziamento delle funzioni «non fondamentali» le regioni con un fisco meno fortunato. In ballo c'è una quota da 4 miliardi di euro, che le regioni utilizzano per le opere pubbliche, gli interventi ambientali, la promozione del turismo e tutte le altre spese esterne al nucleo centrale dei bilanci rappresentato da sanità, istruzione, assistenza sociale e trasporto pubblico locale (nella parte degli investimenti).

Nell'Italia federale le «livelle» per sostenere i territori più poveri saranno due. La prima, sostenuta dall'Iva, servirà alle funzioni fondamentali, che vanno finanziate integralmente, prima seguendo la spesa storica e poi, entro quattro anni, limitandosi ai livelli standard; l'Irpef territoriale, invece, sarà il perno della seconda livella, e dovrà ridurre «in misura non inferiore al 75%» le differenze di capacità fiscale fra le regioni. La classifica non cambierà, il territorio più ricco continuerà a essere tale e così il più povero, ma le distanze fra le regioni saranno tagliate almeno di tre quarti, seguendo il correttivo inserito nella versione finale del decreto.

Il traffico delle somme indicato nella cartina parte dalle analisi condotte dal servizio studi della Camera, che partendo dalla «fiscalizzazione» degli attuali trasferimenti finalizzati alle funzioni non essenziali (2,23 miliardi di euro) e delle accise oggi assegnate alle regioni (1,68 miliardi) ha quantificato la quota dell'addizionale Irpef che va a finanziare queste attività. Il servizio studi ipotizzava nelle sue tabelle una perequazione totale, mentre i dati in questa pagina assumono l'ipotesi «minimale» di una perequazione al 75 per cento: in questo quadro, sette regioni alimentano il fondo, e il contributo maggiore arriva dalla Lombardia (14,1 euro per abitante) e dall'Emilia Romagna (11,4 euro); tra i riceventi spicca invece la Calabria, con 24,4 euro per abitante, seguita dalla Campania, che riceve però la dote maggiore in termini assoluti.

L'indicazione dell'ultimo testo, in base alla quale la perequazione fra le regioni deve cancellare almeno i tre quarti delle differenze, fissa molto in alto l'asticella, ma non deve ingannare. Le spese complessive delle regioni a Statuto ordinario, al netto delle contabilità speciali, si aggirano intorno ai 138 miliardi di euro (i dati sono contenuti nei bilanci riclassificati della Copaff): togliendo la sanità (80 miliardi), l'istruzione (26 miliardi), l'assistenza e gli investimenti nel trasporto, rimane alle funzioni «non fondamentali» una quota intorno ai 15-16 miliardi di euro. La perequazione attivata dal decreto, quindi, abbraccia solo un quarto di questa spesa, mentre il resto rimane in capo alle singole regioni con i tributi propri. Questo meccanismo, per esempio, consente a Lombardia e Veneto di guadagnare nel passaggio dai trasferimenti alla fiscalizzazione, nonostante il contributo da versare al fondo perequativo, mentre in Basilicata e Calabria il gioco del dare-avere continua ad avere un segno negativo.

Il testo finale del provvedimento, poi, lascia aperto qualche interrogativo sui meccanismi che governeranno questi finanziamenti. La base dell'addizionale Irpef, che sarà rideterminata dal 2013 compensando l'intervento con una riduzione della quota statale, dovrebbe essere chiamata a garantire la copertura integrale di accise e trasferimenti soppressi, ma non è specificato: come non è specificato che la «capacità fiscale» dei territori, misurata in base al gettito per abitante, si riferisce a un'aliquota standard uguale per tutti (come previsto espressamente nel fondo per le funzioni fondamentali); se non fosse così, la perequazione finirebbe per farsi carico anche delle scelte di politica fiscale dei singoli governatori.

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