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Questo articolo è stato pubblicato il 29 marzo 2011 alle ore 19:54.

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Il presidente dello Zimbabwe Robert Mugabe (foto Afp)Il presidente dello Zimbabwe Robert Mugabe (foto Afp)

Per Muammar Gheddafi, è scattato il toto-esilio. C'è stata unanimità, secondo quanto raccontato dal ministro degli Esteri Franco Frattini, alla Conferenza di Londra sull'auspicio di un'uscita di scena del colonnello. Tutti concordi sul fatto che Gheddafi debba lasciare il paese. Come, non è altrettanto chiaro e definito. Secondo l'Italia la fine della corsa potrebbe essere in qualche modo concordata (netta in questo senso l'opposizione della Gran Bretagna), anche se l'ipotesi piace poco al rais e ancor meno al Consiglio Nazionale di Transizione libico (Cnt). Intanto, però, il ministro degli esteri di Tripoli che lascia il paese in fiamme e sconfina nella vicina Tunisia non è passato inosservato. Forse la trattativa è già cominciata..

Frattini, al termine della conferenza, ha precisato comunque che non si potrà «promettere un salvacondotto: pensiamo che lasci il Paese, ma nessuno può immaginare all'immunità giurisdizionale e tanto meno noi che siamo tra i fondatori della Corte penale internazionale». Il capo della diplomazia italiana è tornato anche sul rilancio l'ipotesi di un ruolo dell'Unione africana: «Non è un segreto possa fare da leva ma queste cose per avere successo devono essere fatte con discrezione», ha aggiunto ricordando che è «indispensabile vi siano paesi disponibili ad accogliere Gheddafi e la sua famiglia».

Anche secondo il primo ministro del Qatar Hamad Bin Jissim Bin Jabr Al Thani la partenza di Gheddafi e della sua gente dalla Libia è l'unico modo per fermare il bagno di sangue. Salomonica, invece, Londra: il Regno Unito non è impegnato a negoziare un'uscita di scena di Gheddafi, ma «questo non impedisce ad altri di farlo», ha detto il ministro degli Esteri britannico William Hague nella conferenza stampa finale della conferenza.

In effetti Gheddafi ha ancora tanti amici in giro per il mondo: in Africa ma anche in Sud e Centro America non mancano i leader solidali con la battaglia del Colonnello e critici nei confronti dell'intervento militare in Libia. Per dire, a migliaia di chilometri a Sud, lo Zimbabwe dell'a dir poco discutibile Robert Mugabe sarebbe già pronto ad accogliere il rais. Alleato storico della Libia, Mugabe sarebbe disposto così a ripagare il sostegno economico fornito dal Colonnello all'ex Rhodesia britannica. Del resto, il capo di Stato africano, «persona non grata» negli Stati Uniti e in Europa, ha condannato l'attacco alla Libia, definendo dei «vampiri» gli Stati dell'Occidente, interessati «solo al petrolio» libico.

Simili critiche sono giunte anche dal presidente dell'Uganda Yoweri Museveni, antico alleato del Colonnello che sostenne il suo colpo di Stato nel 1986. Il rapporto con gli anni si è incrinato, anche se l'Uganda, con Sud Africa, Mali, Mauritania e Congo fa parte di quel comitato dell'Unione Africana che avrebbe dovuto mediare tra lealisti e ribelli e che invece è stato anticipato dai raid occidentali. Le altre mete africane possibili sono Ciad e Sudan, da cui, secondo alcuni, provengono molti dei mercenari arruolati dal rais per la contro-rivoluzione.

Dall'altra parte dell'Oceano, il sandinista Daniel Ortega, presidente del Nicaragua è al fianco di Gheddafi sin dagli anni Ottanta e, nei giorni scorsi, secondo quanto riporta il settimanale Time, ha affermato di «essere in contatto telefonico» con il leader libico e «di avergli offerto la solidarietà del popolo nicaraguense». Più discreta la posizione dell'amico venezuelano Hugo Chavez, che ha già smentito di aver dato asilo a uno dei suoi figli, come sostenuto nelle scorse settimane da un governatore locale. La posizione del leader bolivariano sull'attacco in Libia è però chiara. Usa ed Europa «hanno preso la decisione di scalzare Gheddafi, di approfittare dei disordini popolari per annientarlo e anche ucciderlo, e sopra un mare di sangue impossessarsi del petrolio», ha denunciato Chavez il 20 marzo scorso

Ai confini dell'Europa, infine, c'è un altro alleato storico di Gheddafi: è Alexandr Lukashenko, presidente della Bielorussia, bersaglio recente delle sanzioni imposte dall'Ue. E proprio nell'ex Repubblica sovietica, solo due anni fa Khamis, il figlio del rais al comando della 32esima brigata, effettuò un addestramento militare. Africa sub-sahariana, Caraibi e Bielorussia, queste le possibili vie di fuga per il leader della Grande Jamahiriya sempre più accerchiato dall'Occidente.

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