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Questo articolo è stato pubblicato il 31 marzo 2011 alle ore 06:43.

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In Francia si chiama Fond Stratégique d'Investissement (Fsi). È un fondo d'investimento costituito nel 2008 su iniziativa di Nicolas Sarkozy e partecipato per una quota del 51% dalla Caisse des dépots et consignations (la Cassa depositi d'oltralpe) mentre il 49% è dell'Agenzia delle partecipazioni dello Stato. Una leva pronta a intervenire a sostegno del capitale delle imprese francesi e che è pronta a scattare nel caso di scalate straniere, come è avvenuto solo pochi giorni fa nel caso dell'acquisizione del gruppo Yoplait da parte dell'americana General Mills (si veda articolo sotto).
È a quel modello che si è cominciato a guardare con interesse al Tesoro. Non c'è ancora un progetto vero e proprio. Per il momento si tratta di idee, di ipotesi. Ma tra le varie azioni che il governo ha intenzione di mettere in campo per frenare le scalate straniere questa del Fsi comincia ad apparire come quella più efficace. Come dire: il gatto che ha artigli sufficentemente affilati per prendere il topo.
Nell'ipotesi allo studio si tratterebbe di un vero e proprio fondo nazionale di investimento in imprese strategiche. Sarebbe partecipato per l'appunto al 50% dalla Cassa depositi e prestiti e per il restante 50% direttamente dallo Stato, magari con la partecipazione di altri soggetti intermedi. Un "gatto" pronto a scattare per acquisire quote di imprese private considerate strategiche per il sistema economico italiano. Non aziende decotte da salvare. E neppure le tante Pmi sane e assetate di capitali, per le quali già opera il Fondo italiano di investimento partecipato dalla stessa Cdp e dalle banche. Ma gruppi industriali riconosciuti come asset importanti del paese, che rischiano di finire sotto controllo non italiano.
L'intervento del fondo non andrebbe necessariamente ad acquisire quote di maggioranza o di controllo, ma servirebbe come nucleo intorno al quale mobilitare anche il capitalismo privato, in modo da centrare obiettivi ambiziosi senza che questo significhi una «pubblicizzazione» delle imprese interessate. In fondo, si ragiona al Tesoro, se il sistema industriale italiano appare oggi così esposto è perché è tramontato quel modello pubblico/privato che vedeva nell'Iri e nella Mediobanca di Cuccia i baluardi assoluti del capitalismo italiano. Un'evoluzione positiva per molti versi, perché ha aperto il mercato e permesso l'ascesa di nuovi soggetti. Ma che ha lasciato il paese più esposto davanti alle scalate straniere. Il fondo "alla francese" servirebbe appunto a contribuire a rimediare a questa falla. Non un baluardo, magari, ma una torre di avvistamento sì.
La strategia antiscalate che il ministro Tremonti sta costruendo è composta comunque di più strumenti. Sta entrando nel vivo in questi giorni il confronto con l'Europa sulla legge francese che permette di difendere le aziende dei settori strategici. Domani sarà a Roma il direttore generale del Mercato interno della Commissione europea, Jonathan Faull. Sul tavolo ci sarà la riproducibilità della normativa francese, nella consapevolezza da parte italiana, che l'Europa ha già messo sotto inchiesta quelle norme. Roma chiederà in sostanza: la legge francese è legittima o no? Se non lo è l'Europa rompa gli indugi e lo dica, altrimenti ci sentiamo autorizzati ad adottarla.
Sarà l'Ecofin informale del 6 aprile ad approfondire la questione. Ma anche al Tesoro sanno che la legge francese da sola non basta certo a prendere il topo Lactalis lanciato alla conquista di Parmalat. Si studiano perciò altri interventi, come il rafforzamento per legge (attraverso un emendamento al decreto che consente lo slittamento dell'assemblea Parmalat) dei poteri Consob in caso di cambio di controllo oppure anche un coinvolgimento di altri soggetti, da Fintecna a Invitalia.
Una strategia di sistema, dunque, che vede comunque al centro dell'attenzione di Tremonti il ruolo della Cassa depositi e prestiti, pur nella consapevolezza dei limiti statutari e finanziari della Cdp. Non è un mistero, del resto, che a Via XX Settembre si è guardato e si guarda all'istituto guidato da Giovanni Gorno Tempini anche per altre partite altrettanto strategiche, come il sostegno patrimoniale delle banche che dovranno rafforzare la propria capitalizzazione. Sia chiaro: c'è fiducia sulla capacità delle banche italiane di rastrellare sul mercato le risorse di cui hanno bisogno e dunque sull'inutilità di un qualunque intervento pubblico. Ma una rete di protezione di ultima istanza, un backstop può essere utile. Soprattutto se a giugno il verdetto degli stress test sugli istituti italiani dovesse rivelare una scarsità di capitale più ampia del previsto.
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